Al binario di Trenitalia è in arrivo il nuovo «bidone», firmato Ferrovie dello Stato, Almaviva e Fim Cisl: un accordo di «stabilizzazione» che non stabilizza nessuno, e che trasforma i precari del call center Trenitalia… in precari. In realtà, ci ha messo molto di suo anche il governo dell’Unione, che nell’ultima finanziaria ha disposto che i famosi accordi di «stabilizzazione» non prevedano solo contratti a tempo indeterminato, ma anche tempi determinati di minimo 24 mesi. E dunque le aziende si stanno scatenando pur di non dare l’ambito «posto fisso» ai cocoprò sfruttati per anni. Ricordiamo, da un lato, che nei call center in outsourcing le imprese hanno già deciso di interpretare le stabilizzazioni negando il rapporto subordinato a ben 40 mila parasubordinati (e in questo caso si appoggiano su un altro «gioiello» del governo, la «circolare Damiano», che concede i contratti a progetto per gli outbound, i lavoratori che fanno le telefonate): lo spiegava la Assocontact-Confindustria il 24 marzo scorso, in un’intervista al manifesto del presidente Umberto Costamagna. Dall’altro lato, l’esempio ci viene offerto dall’accordo che andiamo a descrivere: una manciata di tempi indeterminati e centinaia di contratti a termine.
Dunque, l’intesa «bidone» è quella firmata nel febbraio scorso tra la Sirio Informatica srl e la Fim Cisl. Bisogna premettere che il call center e l’help desk Trenitalia, che rispondono ai clienti all’892021, sono gestiti in un sistema di «scatole cinesi» di appalti e subappalti: alla base stanno centinaia di precari e a monte le Ferrovie e la Almaviva di Alberto Tripi (il proprietario di Cos e Atesia), associati nella Tsf (il 61% di proprietà Almaviva e il 39% delle Ferrovie). In mezzo c’è la «giungla» di appalti che allontana i lavoratori dall’impresa e dalle sue responsabilità: ecco che call center e help desk sono gestite in appalto da Tsf, che a sua volta dà le postazioni in gestione a 5 società: Sirio Informatica, Spring Consulting, Elecom, Cm Isitel ed Exprivia, tutte operanti a Roma. Nomi che danno l’idea di un management efficiente e «figo», ma che hanno significato fino a 8 anni di precariato per centinaia di operatori: retribuiti quando andava bene con un netto di 800 euro al mese, senza ferie né malattie, rinnovati ogni tre mesi e perennemente in ansia.
Sono oltre 400 gli operatori della «piramide» Tsf, ma per 210 di loro è appunto arrivato l’accordo tra la Sirio e la Fim Cisl (la Fiom Cgil non ha voluto firmarlo). Al call center, il tempo indeterminato è previsto per sole 5 persone su ben 140, mentre i restanti 135 avranno contratti a tempo determinato di 24 mesi. Il tutto – ed è qui il grande guadagno per Ferrovie e Almaviva – solo se firmeranno le conciliazioni sul salario pregresso (anche queste previste dalla finanziaria), rinunciando a quanto dovuto per anni di sotto-salario. Ulteriori «fregature»: avranno ricostruiti solo due quarti dei contributi pregressi (un quarto a carico dello Stato, l’altro quarto dell’azienda); saranno inquadrati al terzo livello dei metalmeccanici quando meriterebbero, per le mansioni svolte, almeno il quarto; 55 di loro avranno orari part time di 20 ore settimanali, accedendo a salari insostenibili. All’help desk, che impiega altre 70 persone, sono state concordate le stesse condizioni. Oltretutto, secondo i calcoli del sindacato rimarrebbero fuori ulteriori 40-50 cocoprò (è difficile censire tutti i lavoratori in imprese così «volatili») che l’azienda si terrebbe come lavoro «di riserva». L’accordo Sirio sarebbe stato proposto da Tsf a tutte le altre sotto-aziende. Ma molti lavoratori, anziché conciliare, si sarebbero già rivolti all’avvocato.
C’è infine un’ulteriore complicazione: da qualche giorno tutte le quote azionarie della Tsf sono state messe in vendita, pare che Tripi sia pronto a rilevare il 39% in mano alle Ferrovie. Inoltre, call center ed help desk sono stati messi in gara, per i prossimi 6 anni. Dunque non è sicuro: 1) che fine farà la Tsf e a chi andrà il controllo; 2) se la futura Tsf in effetti si accaparrerà l’appalto di 6 anni. I lavoratori restano nel «limbo», e certo le cause o le minacce di ispezioni non fanno bene in momenti di passaggio di pacchetti azionari: ecco perché Ferrovie e Almaviva avrebbero pressato sulle micro-società subappaltanti, invitandole a «regolarizzare» i lavoratori.