Marc Augé: «I giovani delle banlieue rivendicano il loro essere francesi»

“Antropologo del quotidiano” ed “etnologo del metrò”, Marc Augé è senza dubbio tra gli intellettuali francesi più affermati e più noti al pubblico internazionale. Africanista di formazione ha studiato per anni le popolazioni dell’Alto Volta e della Costa d’Avorio, svolgendo importanti ricerche sui sistemi di potere, sulle religioni tradizionali e sul profetismo. A partire dagli anni Ottanta si è poi dedicato all’osservazione della pluralità dei mondi contemporanei, rivolgendo il suo sguardo di antropologo ai problemi delle società complesse, alla dimensione rituale del quotidiano e alla modernità. Lungo questa prospettiva ha elaborato nuovi modi di intendere le relazioni tra dimensione spaziale e appartenenza ai luoghi, e a metà degli anni Novanta proprio le sue teorie sull’urbanità e sui nonluoghi hanno dato il via ad una prolifica riflessione sociologica. Più di recente si è occupato dei modi di produzione della memoria culturale e del senso del tempo nella società contemporanea, caratterizzata dall’assottigliarsi dell’orizzonte del passato e dal “paradosso delle rovine”.

Attualmente Directeur d’études presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, Marc Augé sta girando in questi giorni l’Italia per presentare il suo ultimo libro La madre di Arthur (Bollati Boringhieri, pp 142, euro 15,00). Non un saggio ma un romanzo, un lavoro che però non si pone in contraddizione con i suoi precedenti perché, come spiega lo stesso Augé: «Quando si studiano i fatti sociali si indaga sulle soggettività individuali, mentre il romanzo costituisce un esercizio inverso: si immaginano delle individualità per suggerire qualcosa di più vasto». Ma è chiaramente dalla situazione francese e dalla rivolta nelle banlieue delle ultime settimane, che muove l’incontro con l’intellettuale transalpino.

Alla luce delle sue teorie sull’urbanità e sui nonluoghi, come valuta quanto sta accadendo nelle periferie francesi e i motivi che hanno innescato la rivolta di questi giorni? Cosa dobbiamo aspettarci ora?

E’ difficile rispondere in poche parole ad una domanda così complessa. Posso dire però che per questi giovani che oggi manifestano con violenza la banlieue non è un nonluogo, bensì il loro luogo. Il posto dove vivono, dove comunicano con il loro linguaggio, con il loro modo di essere e di vestirsi. Ma la banlieue è vissuta anche come un luogo di chiusura, e le strade per uscirne non sono sufficientemente aperte. Ciò che questi giovani rivendicano è sentirsi francesi, e che anche la Francia finalmente li consideri tali, poiché la maggior parte di loro incontrano molte difficoltà ad inserirsi nella vita professionale e sociale in generale. Hanno l’impressione di fare parte della Francia senza esserne però parte; non è la banlieue ma la Francia intera ad essere percepita da loro come un nonluogo.

E’ evidente che è in atto un conflitto: nei confronti di un’esclusione sociale e del luogo dove vivono questi giovani. Ma anche nei confronti della famiglia e della tradizione. E’ un conflitto che segue perciò diverse direzioni, può spiegarcene la natura?

Sicuramente sussistono tutte queste dimensioni. Il conflitto principale ha origine nel gap tra la prima generazione di immigrati e la seconda generazione francese. Non sono tra coloro che affermano che il modello francese è fallito, perché in realtà ritengo non sia mai stato veramente applicato. Credo che gli sforzi della Francia siano stati insufficienti per quel che riguarda l’alfabetizzazione, l’istruzione e l’integrazione. Si è quindi verificata una rottura tra la prima generazione dei genitori e la seconda formata da questi ragazzi, che hanno frequentato la scuola e che hanno elaborato una cultura propria, che poi è quella della cité di periferia e della città in cui sono nati e cresciuti.

In un’intervista lei ha affermato che «la violenza è all’origine della ristrutturazione urbana». Abbiamo visto questi ragazzi distruggere cose, se la prendono con le persone, spesso i loro vicini di casa che difendono la propria macchina da tentativi di incendio. Non praticano la protesta con “l’assalto alla Bastiglia”, per intenderci. Come la violenza della ristrutturazione è stata perpetrata nella banlieue e come la stessa è stata poi rielaborata da chi vive in quelle zone?

Siamo di fronte ad una ribellione non ad una rivoluzione. Certo ci si chiede perché vengano bruciate le scuole, la macchina del vicino, le case, i supermercati, che naturalmente rappresentano dei simboli. Più della violenza come atto di distruzione è significativo il gesto della violenza in senso assoluto, che è un modo per attirare l’attenzione. Un altro aspetto da non sottovalutare è che oggi viviamo nella società dell’immagine, e questi ragazzi hanno l’illusione di esistere solo se entrano nello schermo. Da questo punto di vista esiste una specie di competizione fra le diverse zone urbane; facendo salire il livello di scontro più degli altri le periferie sono in concorrenza per arrivare in tv. Viviamo in un mondo in cui bisogna passare dall’altra parte dello schermo per esistere, ed è ciò che i giovani delle banlieue stanno facendo. Diventa anche un messaggio che parla alla e della nostra società del consumo, caratterizzata dal culto dell’immagine.

Nell’interpretazione della contemporaneità lei ha parlato di surmodernità come di una nuova sensibilità culturale che vede l’individuo e la sua libertà agire in un clima caratterizzato dall’eccesso. Può essere un concetto applicabile a questa situazione o questa situazione può considerarsi una diretta conseguenza di tutto ciò?

Non esiste un concetto in grado di definire ciò che si sta verificando in questi giorni, e che altro non è che una somma di frustrazioni di varia natura. In un certo senso però questa crisi può risultare positiva, perché è il segnale che è tempo di agire e che bisogna fare qualcosa. Segnali tra l’altro già verificatisi nel passato, perché non è la prima volta che vengono bruciate le macchine per strada. Solo che oggi la situazione ha raggiunto un livello molto più vasto in termini di contagio.

Come si può intervenire? La linea dura del governo può rivelarsi efficace?

Non so se definirla propriamente una linea dura. Ovvio che il governo deve intervenire e trovare una soluzione nell’immediato, ed è costretto a escogitare un linguaggio che invochi la sicurezza, altrimenti è l’estrema destra a prendere la parola, cosa che è già successo nel passato. Interpreto questa agitazione come un grido, e forse questa crisi risulterà utile. Dipenderà dal fatto se il messaggio della rivolta nelle banlieue sarà realmente recepito. Penso che la Francia e il mondo intero necessitino di una rivoluzione dell’educazione e dell’istruzione. E’ ciò che ripetiamo spesso: esiste un enorme divario non solo tra i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, ma anche fra chi ha la possibilità di accedere ad un sapere e chi invece non ce l’ha. Questa è la posta in gioco di cui dobbiamo prendere coscienza, altrimenti continueranno a generasi altre violenze.