Mar del Plata, il vicolo cieco di George Bush

Il vertice di Mar del Plata conferma l’importanza dell’America latina negli schemi politico-economici degli Stati uniti, ribadendo contemporaneamente il vicolo cieco in cui si trova Washington nella parte meridionale del continente americano. Sul piano della politica estera il 2005 è trascorso all’insegna dell’inestricabile ginepraio in cui gli Usa si sono infilati in Iraq mentre l’America latina appariva nei notiziari e sulle pagine dei giornali in relazione ai sommovimenti sociali interni raramente rapportati alla valenza geoeconomica della regione nella politica di Washington. Più recentemente il Venezuela è salito alla ribalta per le solite accuse di terrorismo con cui i governanti di Washington da sempre, incluso John Kennedy, preparano le loro effettive operazioni di destabilizzazione verso i paesi del continente. Certamente la rabbia degli Usa è anche connessa alla decisione di Chavez di detenere in euro una maggiore quota dei proventi delle vendite petrolifere e questa strategia è coerente con la linea di integrazione regionale la quale richiede, in primis, l’emancipazione dalla gravitazione verso il dollaro. Ricordiamo ai lettori che, come osservato da Robert Fisk due anni fa, la scelta di Saddam Hussein di chiedere il pagamento in euro delle vendite irachene di petrolio, previste dall’apposito programma delle Nazioni unite, costituì una delle principali motivazioni del passaggio alla fase operativa della programmata guerra all’Iraq.

Il deficit degli Stati uniti

Ci si può quindi attendere che di fronte alla politica di sganciamento dal circuitio finanziario Usa che, con molta cautela in verità, il Venezuela sta perseguendo, Washington intensificherà le manovre e le pressioni di destabilizzazione. Assieme alle zone petrolifere e energetiche del Medioriente e dell’Asia centrale ex sovietica, l’America latina è la zona più importante nel meccanismo che regola il circuito del dollaro sul piano internazionale. Solo gli stolti non vedono che il deficit estero Usa è incolmabile e che l’economia nazionale statunitense per poter evitare una grave crisi finanziaria dovuta a un possibile sgonfiamento della bolla immobiliare deve assorbire in continuazione denari dal resto del mondo. E è anche questo fatto che permette agli Usa, contrariamente agli altri paesi, di perseguire una politica di espansione della spesa militare che altrimenti verrebbe vincolata dalla necessità di affrontare il deficit estero. Come vasta zona geoeconomica l’America latina costituisce l’elemento più importante per Washington. La stessa durezza del Fondo monetario internazionale nei confronti dell’Argentina nel settembre del 2001 si fondava sulla malcelata aspettativa che Buenos Aires dollarizzasse completamente la propria economia.

Una fuoriuscita solo politica

Per capire il ruolo dell’America latina nella politica di imperialismo attraverso il deficit estero del capitalismo yanqui basta paragonarne la situazione con quella della Cina. Quest’ultima sta diventando la più grande accumulatrice di surplus nella bilancia dei conti correnti con gli Usa. Per ora la Pechino è interessata a riciclare il deficit yanqui ma non in maniera incondizionata. La Cina non liberalizza la bilancia in conto capitale e cerca di usare l’accumulazione di dollari per comprare attività Usa come insegna il caso dell’Unocal, la multinazionale petrolifera che opera nell’Asia centrale. Queste possibilità sono precluse ai paesi dell’America latina i quali, dato il loro indebitamento verso le istituzioni di Washington, devono accettare la supremazia del dollaro. A eccezione degli anni `90 quando sia il peso argentino che il real brasiliano erano, in maniera diversa, legati al dollaro, i maggiori paesi latino-americani sono esportatori netti. Tuttavia i proventi delle esportazioni vengoni destinati al pagamento di noli e servizi esteri e al debito, che sorpassa di molte lunghezze tali proventi. La dipendenza dal debito garantisce quindi la dipendenza verso il dollaro. Tale situazione è stata scientemente creata dagli Stati uniti, in combutta con le classi ricche locali, dal golpe contro Allende in poi e non è il prodotto di processi economici obiettivi.

La fuoriscita da questo stato di cose può essere pertanto solo politica. E’ ciò che sta succedendo a partire dalla crisi argentina del 2001: Bolivia, Ecuador, Venezuela e anche, in questo caso, Brasile. Ne consegue che il tentativo Usa di trasformare l’America latina in una zona di preferenze imperiali di britannica memoria, come sarebbe in effetti l’Alca, sta fallendo. Ma, per usare il gergo dei computer, l’America latina è il back up principale del sistema imperialistico Usa, quindi… ?