Manovra: qualcosa da difendere, molto da migliorare

Il primo elemento da mettere in evidenza è certamente il quadro complessivo, l’entità della Finanziaria: 34, 7 miliardi di euro disegnano una manovra oggettivamente “pesante”, che risponde ai vincoli dell’Unione Europea e assume l’impegno di riportare nel 2007 il rapporto deficit/Pil al 2,8% e l’avanzo primario al 2%. Su questo terreno la sinistra alternativa deve registrare una sconfitta netta, senza appello: è stata respinta la proposta di stabilizzare il debito avanzata autorevolmente nei mesi scorsi da una rete amplissima di economisti, è stata rifiutata l’ipotesi – caldeggiata dallo stesso ministro Ferrero – di spalmare la riduzione del debito su due anni, è risultata inascoltata persino la richiesta delle organizzazioni sindacali – ben più temperata ed interlocutoria – di ridurre significativamente l’entità complessiva della manovra.
Dentro questa cornice va collocata l’analisi del provvedimento. Un’analisi necessariamente articolata, che metta in luce i passi in avanti compiuti (gli elementi di discontinuità rispetto alle manovre del centro-destra) e i limiti profondissimi, gli elementi che inducono a gravi e fondate preoccupazioni.
Il dibattito parlamentare, chiamato ad intervenire sul testo licenziato dal Consiglio dei Ministri, non deve arretrare sul risultato più incoraggiante tra quelli raggiunti (e sul quale, non casualmente, si è scatenata la campagna di rivalsa classista della destra e di Confindustria): il combinato della riforma delle aliquote Irpef e del nuovo regime delle detrazioni (assegni familiari, detrazioni da carico familiare, detrazioni da lavoro). Si mette in atto, attraverso la riforma fiscale, un’azione di indiscutibile redistribuzione verso le fasce di reddito basse. Sotto i 40.000 euro i redditi netti (nelle casistiche più diffuse) risparmiano fino ad 800 euro all’anno; le fasce di reddito medio-alte subiscono, parallelamente, un aggravio, in taluni casi corposo e sensibile.
Siamo ancora lontani dal corrispondere allo spirito dell’articolo 53 della Costituzione: il criterio della progressività tributaria (verso cui si dimostra ad ogni modo di tendere attraverso la rimodulazione delle aliquote Irpef) cozza inevitabilmente contro una realtà di evasione ed elusione fiscale drammatica. Non ci stancheremo mai di dire che serve un sistema che riconosca i redditi patrimoniali: solo così saremo sicuri di far pagare ai ricchi (e ai loro yachts) ciò che a loro spetta.
Questo governo si è impegnato a combattere l’evasione e i 10 miliardi di recupero indicati in Finanziaria sembrano dimostrarlo. Bisogna rapidamente passare dalle parole ai fatti.
Altre sono le luci presenti in questa Finanziaria (come l’aumento dal 12,5% al 20% dell’aliquota sulle plusvalenze e le speculazioni finanziarie). Luci che rischiano però di essere offuscate pesantemente dagli errori, profondi ed inaccettabili, contenuti nello stesso testo.
Il primo è quello relativo ai tagli agli enti locali. 4,6 miliardi di euro sono un macigno che si tradurrà in addizionali Irpef (3 decimi percentuali), aumento dell’Ici (si ipotizza un aumento medio percentuale di mezzo punto) e, verosimilmente, in riduzioni dei servizi sociali. Se addirittura il ministro Lanzillotta (primo firmatario del noto Disegno di Legge ultra-liberista sui servizi pubblici locali) avverte l’urgenza di “riequilibrare le nuove misure introdotte”, se l’intera ANCI è sul piede di guerra, è evidente che qualcosa non va. E questo qualcosa è il rischio concreto che il saldo tra vantaggi fiscali e aggravi sulla tassazione locale sia, per larghi settori popolari, tutto negativo.
A questo si aggiungono, nell’ordine di 3 miliardi di euro, i tagli alla sanità. Tra le varie misure, l’inasprimento dei ticket è odioso, semplicemente irricevibile.
E se l’articolo 114 destina, tra il 2007 e il 2009, 85 milioni di euro per le imprese in difficoltà, l’articolo precedente, il 113, stanzia, in tre anni, 4.450 milioni (cinquanta volte tanto!) per il “fondo per le esigenze di investimento per la difesa” e cioè, prevalentemente, per nuovi armamenti.
Infine il lavoro, con due ingiustizie macroscopiche: dal taglio di cinque punti del cuneo fiscale (già ripartito in una misura insoddisfacente a vantaggio delle imprese) ai lavoratori non arriverà in tasca nulla, grazie alla destinazione al complesso dei contribuenti di quei 4 miliardi lordi di euro; i parasubordinati (i più precari tra i precari) subiranno – a compenso immutato – un aumento dei contributi previdenziali dal 18,2% al 23%.
Se i ricchi piangono, non c’è – nemmeno per noi – molto da ridere. Ora tocca alle forze della sinistra d’alternativa evitare in Parlamento che i vantaggi vengano annullati dalle perdite e gli sforzi compiuti per strappare quanto di redistributivo presenta questa Finanziaria siano vanificati dalle pesanti ricadute delle misure peggiori della manovra. Ma tocca anche alla società, senza la quale la politica non può molto. Che riprenda nel Paese un’iniziativa diffusa, di massa, che solleciti ed accompagni il confronto parlamentare, puntando i piedi a difesa di ciò che funziona ed incalzando radicalmente il governo sulle tante ombre di questa Finanziaria. La cancellazione, ottenuta quasi immediatamente, di quell’articolo 188 che mirava a costituire un fondo speciale di rinnovo e finanziamento automatico per tre anni delle missioni estere già varate (compresa quella in Afghanistan), è la dimostrazione che cambiare il testo è possibile. La seconda fase della Finanziaria è appena cominciata.