Ci rivediamo dopo le vacanze, hanno deciso ieri i senatori approvando la risoluzione della maggioranza sul Dpef. Una risoluzione piena di buone intenzioni ma con poche gambe. E questo perché il documento che è stato approvato risponde solo alla impostazione di Tommaso Padoa Schioppa e mira esclusivamente a un veloce risanamento dei conti pubblici. Tutto il resto è contorno.
L’aggettivo più utilizzato per il Dpef è «rigoroso». Tanto che gli obiettivi di risanamento vanno abbondantemente (5 punti di Pil) oltre quelli fissati dal Dpef del 2006 che non era certamente tenero, visto che prevedeva una manovra correttiva da 35 miliardi. D’altra parte, l’appetito viene mangiando e dopo la «truffa» dell’abolizione dello scalone Maroni sulle pensioni e la controriforma del sistema previdenziale, tutto è diventato più semplice e evidente: il risanamento si fa sulle spalle dei lavoratori ai quali per contorno si offrono chiacchiere. E più grave di una chiacchiera, un vero richiamo all’ordine, è la lunga lettera con la quale Romano Prodi ha risposto al segretario della Cgil Epifani, invitandolo a firmare tutto e a continuare, poi, la trattativa.
Certo, questo governo ha due palle al piede: i conti pubblici disastrati negli anni ’80 e poi da Berlusconi e l’Unione europea, con la lunga mano della Bce sempre pronta a rialzare il costo del denaro, mettendo in crisi consumatori e spesa pubblica. Due palle al piede (vincoli esogeni, direbbero gli economisti) ma in questo Dpef anche tanta ideologia: quella dello stato minimo, di una pubblica amministrazione che si deve fare da parte, perché i privati possono fare meglio. E’ la filosofia che ha ispirato l’accelerazione nel via libera ai fondi pensione, propedeutico all’ulteriore dimagrimento delle pensioni pubbliche. I sindacati hanno abboccato e il risultato non poteva che essere l’ultima riforma previdenziale che certo farà risparmiare risorse. Ma per farne cosa?
Non c’è nulla di nuovo nell’ideologia di Padoa Schioppa: quella varata dal governo col Dpef appare sempre più come una manovra simile a quella realizzata dal duo Einaudi-Menichella nel dopoguerra che fu criticata anche dagli Stati Uniti perché stabilizzò i conti pubblici e la lira, ma bloccò lo sviluppo per molti anni. Di più: quella manovra fu alla base del sottosviluppo del Sud, delle grandi migrazioni. Tutte caratteristiche che oggi si ripresentano immutate. E oggi non c’è neppure la Cassa del Mezzogiorno a fare da ammortizzatore.
Ieri tutti i partiti di centro sinistra si sono detti entusiasti della risoluzione approvata. Non a caso. Si parla di: famiglia, riduzione delle tasse, riduzione del lavoro precario, taglio ai costi della politica, mezzogiorno, infrastrutture e perfino di accelerare gli impegni di Kyoto. Tutti contenti. Però Padoa Schioppa il «tesoretto» se lo tiene ben stretto, anche se cose da fare ce ne sarebbero tantissime. Ma un risultato è stato raggiunto: tutti a casa, se ne riparlerà a settembre con la finanziaria. Sperando che, nel frattempo, il sindacato si sia ripreso.