Nessuna discussione come quella delle pensioni è segnata da tante menzogne, errori e reticenze. Comunque vada – accordo o rottura dell’Unione – essa resterà una pagina singolarmente bassa della nostra stagione politica. Lasciamo da parte il profilo morale, dove la maggioranza da’ per giusto e solidale che circa la metà dei pensionati italiani – su oltre 16 milioni – viva con meno di 750 euro al mese, cifra che a chi decide della loro sorte non basta per due giorni. Ma guardiamo all’informazione, tutta scesa dall’approssimazione alla menzogna pura e semplice, all’omissione e manipolazione. Non credo che chi ci governa , la stampa e la tv non sappiano come stanno realmente le cose. I dati Istat e della Ragioneria dello stato sono di facile accesso e nel complesso chiari. Dico «nel complesso» perché lo sminuzzamento delle tipologie e dei tipi di calcolo non aiuta il cittadino a capire che cosa personalmente può attendersi, ma chi decide ne è perfettamente al corrente. Vediamo le maggiori libertà, diciamo così, che la nostra classe dirigente e i suoi editorialisti si prendono.
1. Governo e grandi firme dicono che occore d’urgenza riformare il sistema previdenziale perché come tale è in deficit. E’ falso. Il rapporto entrate e uscite delle pensioni da lavoro – quanti contributi hai versato e quanto riceverai a occupazione finita – è da qualche anno in attivo, compensandosi le categorie relativamente più privilegiate sui fondi del lavoro dipendente privato e pubblico. Se nel bilancio dell’Inps appare un modesto deficit è perché gli sono attribuiti, oltre alle pensioni di lavoro, una serie di provvedimenti assistenziali cui il governo fa fronte (più o meno giusti e se mai a decrescere). Questo sta scritto nei dati ufficiali, lo dicono i sindacalisti, vi ha lavorato Rc, lo spiega su Repubblica in termini semplici ed esatti Luciano Gallino – ma niente, la tesi resta quella, troppi i pensionati, pochi i contributi, e sarà sempre peggio. E chi deve pagare questo deficit assistenziale (dopo avere già colmato quello previdenziale dei coltivatori agricoli, degli artigiani e dei dirigenti d’azienda (!), dei telefonici e degli elettrici, perché è una selva di sistemi differenti) se non l’ex fondo dei lavoratori dipendenti specie del settore privato? Quelli pagati meno e sicuramente non evasori? A costoro si chiede di allungare il tempo di lavoro e allargare la contribuzione. Questa, ridotta al sugo, la famosa riforma.
2. A premessa o coronamento di questo assioma stanno le previsioni sul futuro, destinate a dimostrare che saremo sempre meno, sempre più vecchi, quindi ci saranno sempre meno contributi, spaventevoli «gobbe» nei deficit. Nuove leve a pensione zero. E’ perfino curioso, direi strampalato, che nessuno dia un’occhiata al trascorso decennio, dalla riforma Dini in poi: non una delle proiezioni avanzate allora si è rivelata giusta. Nel 1995 s’era previsto che la popolazione residente sarebbe calata, nel 2005 saremmo stati 57.613.144, mentre a quella data siamo risultati 58.751.711: errore di oltre un milione, siamo il 2% di più. Ma più vecchi improduttivi? No, è aumentato il numero di chi è in età lavorativa, la fascia fra i 24 e 29 anni è cresciuta di oltre il 6%, il tasso di chi sta al lavoro fra i 15 e 64 anni è cresciuto del 3%. Last but not least, in concreto in Italia si va in pensione mediamente a 61 anni e qualcosa. Non sarà stata cattiva intenzione, ma certo un clamoroso errore, che dimostra quante varianti intervengano nella previsione e quanto valgano le attuali estrapolazioni su un temibile futuro.
3. Nel bel mezzo della non innocente confusione stanno gli immigrati. Nel 1995 il governo previde che al 2005 ne sarebbero entrati e regolarizzati 51.000. Sono stati invece 238.357, e in gran parte costituiscono la fascia giovane in aumento. Una volta regolarizzati pagano contributi e tasse (fra parentesi, le tasse le pagano anche i pensionati, che non sono soltanto spesa). Si aggiunga che quelli che ce l’hanno fatta ad arrivare alle nostre coste senza affogare (troppi e non fanno più neppure cronaca) sono robusti, e non abbiamo speso un soldo per alfabetizzarli e magari diplomarli. Bisogna essere Bossi o Fini, maniaci dell’identità nazionale e simili stupidaggini, per non capire che essi sono ormai costitutivi dell’Europa mediamente affluente, ne allargano la platea contributiva, sono una risorsa. Se non se ne tiene conto, tutte le previsioni sia sulla speranza di vita (fra l’altro diversa per leggibilissime categorie sociali) sia sulla composizione del lavoro e della platea contributiva sono destinate a equivoci grossi come nel trascorso decennio.
E si potrebbe continuare. Non sempre è menzogna: è «naturale» oscuramento, come quello calato sulle donne. Esse, si sa, hanno una maggiore speranza di vita e pretendono la pensione cinque anni prima. Vampire! Si finge di scordare – o, peggio, si scorda davvero – che una lavoratrice aggiunge alle trentacinque o quaranta ore di attività fuori casa (e non si sa quante di più le colf e badanti al nero, perché le nostre signore non pagano i contributi) il lavoro a casa propria: nutrire, lavare e stirare i loro uomini, allevare i bambini, prendersi cura dei vecchi, pulire la casa, fare la spesa e assolvere alla burocrazia minuta – tutti lavori che prendono tempo e non vengono pagati, ma dei quali si potrebbe calcolare agevolmente il costo sulla retribuzione di chi lo svolge da professionista (colf, badanti, infermieri, segretarie). Dire che mediamente una lavoratrice sgobba non sette ore per cinque ma sette per sette è approssimato per difetto. Eugenio Scalfari scriverebbe che non la usura se continua a farlo finché si regge in piedi.
E oscuramento è del resto quello sui lavori «usuranti» dove forse non si mente ma tutti, sindacati inclusi, traccheggiano. Non occorre essere uno psicologo o sociologo in cattedra per sapere che qualsiasi lavoro che è solo ripetitività, fatica e noia, solo macchinale, senza possibilità di scelta o decisione e non ha per contropartita altro che il salario, è usurante fisicamente e/o psichicamente, è alienante e mangia energie. Come per un precario la permanente incertezza sul domani è nove volte su dieci più logorante di un lavoro. Il decimo lo lasciamo alla signorina Padoa Schioppa, che – suo padre dixit – è contenta di sapere solo il venerdì se potrà lavorare il lunedì seguente. Ma torniamo alla menzogna su fatti e dati pur facilmente controllabili. A che si deve?
Due mi sembrano le spiegazioni. La prima che, pur essendo alla quota di sfacciataggine sociale 2007, ci si vergogna a dire: Carissimo popolo italiano, manterremo le pensioni al livello in cui sono (8 milioni di voi con meno di 750 euro al mese, l’80 % dei quali con meno di 500 euro) ma dovrete lavorare alcuni anni di più, nonché conferire il tfr a qualche fondo di investimento, perché dobbiamo pompare i vostri soldi per sollevare le nostre povere imprese. Se con questo vostro aiuto ce la faranno nella concorrenza, avrete alla fine qualche euro in più, non come pensionati ma come azionisti; se non ce la faranno, perderete anche quelli. La crescita delle imprese sia il vostro motto, tirate fiduciosamente la cinghia.
La seconda è che la prima legge non è quella del Signore, ma quella della Commissione europea e della Banca centrale che esigono il nostro rientro nel debito al ritmo previsto. C’è stato un aumento imprevisto delle entrate fiscali? Vada a risanarci un po’ più in fretta. E’ vero che in Francia Nicolas Sarkozy ha detto a quelle due autorità supreme del continente: a proposito, la Francia rientrerà non nel 2008 ma nel 2012, e non è caduto il mondo. Ma lui è la destra e noi la sinistra, lui puzza di protezionismo mentre noi, fedeli alla libertà, lasciamo sfondare le nostre frontiere e se appena possiamo sfondiamo quelle altrui: una vivace azienda italiana si è mangiata due settimane fa un’azienda francese in buono stato per chiuderla e spostarla in Tunisia, dove il lavoro costa molto meno. E arrivederci alle maestranze.
Questo si fa ma non si dice. Almeno non fino a quando la maggioranza è formata dall’intero arco della sinistra, Rifondazione e Pcdi inclusi, e soprattutto al Senato ha bisogno di ogni voto fino all’ultimo.
Sarebbe diverso se, come non nascondono Francesco Rutelli e buona parte dei dirigenti del nascituro Partito democratico, la maggioranza si liberasse della sua sinistra, definita massimalista e conservatrice, e potesse contare sui voti della Udc e altri, possibilmente sciolti ma sufficienti a rimpiazzarla. Oppure se il governo cadesse e si formasse, sotto gli auspici del presidente della Repubblica, un bel governo di unità nazionale che non avrebbe più bisogno di mentire, salvo naturalmente sotto le elezioni. Oggi come oggi è ancora difficile che senza alzare foglia lo stato, interdetto dall’intervenire in economia, intervenga minutamente a sciogliere tutti gli impegni che mettono in qualche modo limite alla logica dei profitti. Questo è, d’altronde, il vero nodo dell’attuale maggioranza.