Manifesto ai lavoratori italiani.

Proletari italiani!

Nessuno di voi ignora che il Partito Socialista Italiano, nel suo Congresso
Nazionale tenuto a Livorno, si è diviso in due partiti.

I rappresentanti di quasi sessantamila dei suoi membri sui centosettantamila
che hanno partecipato al Congresso, si sono allontanati, e in un primo
Congresso hanno costituito il nuovo partito: il nostro Partito comunista. I
rimasti nel vecchio partito hanno conservato il nome di Partito socialista
italiano.

Ciò voi avrete appreso, proletari tutti d’Italia, dalla nuda cronaca di
questi ultimi giorni; ma tale nuova, che non appare ben chiara nelle ragioni
che ne furono la causa a molti di voi, mentre essa tanto da vicino riguarda
i vostri interessi ed il vostro avvenire, vi sarà presentata e commentata
dagli interessati sotto una luce artificiosa e sfavorevole. E’ perciò che il
i° congresso del nuovo Partito ha sentito, come suo primo dovere, la
necessità di rivolgersi a voi; e con questo manifesto vuole rendervi ragione
del sorgere del nuovo Partito, perché vi stringiate intorno ad esso,
accogliendolo come il solo e vero strumento delle vostre rivendicazioni,
come il vostro Partito.

Richiamiamo, quindi, tutta la vostra attenzione su quanto abbiamo il compito
di esporvi nel modo più chiaro, onesto e preciso.

Vi fu detto per molti anni che coloro i quali lavorano e sono sfruttati
dalla minoranza sociale dei padroni delle fabbriche, delle terre, delle
aziende tutte, devono tendere, se vogliono sottrarsi allo sfruttamento e ad
ogni sorta di miserie, a rovesciare le istituzioni attuali che difendono i
privilegi degli sfruttatori. Vi fu detto, a ragione, che questo scopo poteva
raggiungersi solo col formarsi di un partito dei lavoratori, di un partito
politico di classe, il quale doveva condurre la lotta rivoluzionaria di
tutti gli sfruttati contro la borghesia, contro i suoi partiti, contro i
suoi istituti politici ed economici.

Ma già prima della guerra in molti paesi, ed anche in Italia, i capi dei
partiti proletari avevano cominciato a transigere con la borghesia, ad
accontentarsi di ottenere da essa e dal suo Governo piccoli vantaggi, e
sostenevano che, a poco a poco e senza lotta violenta, sareste, così, giunti
a quel regime di giustizia, sociale ch’era nelle vostre aspirazioni.

Questi uomini erano anche nel Partito Socialista Italiano. Alcuni, come i
Bissolati e i Podrecca, ne furono allontanati; altri però, come i Turati, i
Treves, i Modigliani, i D’Aragona, ecc., vi rimasero, capi incontrastati
nell’azione parlamentare e nelle organizzazioni economiche, anche dopo che
la maggioranza del partito ebbe dichiarato erronee le loro teorie
riformiste.

Guidata da costoro, o da altri meno sinceri, ma in fondo simili ad essi per
pensiero e per temperamento, l’azione del partito non corrispondeva alle
aspettazioni delle masse e alle esigenze della situazione. Venne la guerra
del 1914. Come voi sapete, in moltissimi paesi i partiti socialisti, diretti
da quei capi riformisti e transigenti di cui abbiamo detto, anziché opporsi
energicamente alla guerra, divennero i complici del sacrificio proletario
per gli interessi borghesi.

Ciò dipese sopratutto dal fatto che essi non capirono che la guerra era una
conseguenza del regime capitalistico; che rappresentava il crollo di esso
nella barbarie, e creava una situazione in cui i socialisti avevano il
dovere di spingere le masse ad un’altra e ben diversa guerra, alle lotte
rivoluzionarie contro la borghesia imperialista. Voi, proletari italiani,
ricordate anche che il Partito Socialista in Italia tenne un contegno
migliore di quello degli altri partiti socialisti europei; attraversammo un
periodo di neutralità, durante il quale avemmo l’agio di meglio comprendere
quale enormità fosse l’adesione dei socialisti alla guerra.

Ma quando si trattò di passare da un’opposizione verbale all’azione
effettiva contro la borghesia italiana impegnata nella guerra, ad una
propaganda in senso rivoluzionario, allora gli uomini della destra del
partito ed altri ancora – anche e sopratutto quando il territorio italiano
fu invaso – dimostrarono col loro contegno esitante tutta la loro avversione
al metodo rivoluzionario.

A chiarire e precisare l’atteggiamento dei socialisti dinanzi alla guerra e
alle sue conseguenze, venne la rivoluzione russa. Essa ci mostrò i
socialisti russi divisi in campi opposti: mentre alcuni partiti e frazioni
socialiste, che pure erano stati contro la guerra, propugnavano l’alleanza
coi partiti borghesi, la continuazione della guerra, la limitazione delle
conquiste rivoluzionarie alla costituzione di una repubblica democratica al
posto del vecchio dispotico impero zarista; all’avanguardia del proletariato
rivoluzionario si poneva un forte e cosciente partito politico: quello dei
Bolscevichi, che ora é il grande Partito comunista di Russia.

I Bolscevichi avevano già il loro programma rivoluzionario. Essi fin dal
1914 avevano dichiarato che la guerra delle nazioni doveva volgersi in
guerra civile rivoluzionaria del proletariato internazionale contro la
borghesia; e nel 1917 sostennero che, data la situazione creata dalla
guerra, non v’era altra soluzione che la dittatura del proletariato, da
raggiungersi con la lotta rivoluzionaria, respingendo ogni alleanza coi
partiti borghesi russi e colle borghesie estere dell’Intesa imperialistica.

I Bolscevichi e i lavoratori rivoluzionari russi col trionfo di questo loro
programma attirarono l’attenzione dei lavoratori di tutto il mondo su
importanti questioni nelle quali i riformisti di tutti i paesi avevano
portato grande confusione. Eccole.

Il proletariato non arriverà mai al potere né alleandosi con partiti
borghesi, né servendosi del suffragio elettorale per la conquista dei
mandati elettivi nei Parlamenti. Solamente se il proletariato si impadronirà
con la violenza del potere, spezzando le forme attuali dello Stato: polizia,
burocrazia, esercito, parlamento, potrà costituire una forza di govemo
organizzata, capace di operare la distruzione dei privilegi borghesi e la
costruzione del regime sociale comunista.

In questo nuovo sistema di potere, al posto dei Parlamenti democratici vi é
la rete dei Consigli dei lavoratori, alle elezioni dei quali partecipano
solo quelli che lavorano e producono, e che la Russia ci ha mostrati per la
prima volta nei Soviet.

Ma l’insegnamento più importante ancora della rivoluzione russa fu questo:
che nella lotta decisiva per la conquista del potere proletario, quei
socialisti riformisti, democratici, che, o furono per la guerra, od anche
non seppero passare dalla opposizione alla guerra all’affermazione
rivoluzionaria che la guerra aprì in tatto il mondo il periodo della lotta
per la dittatura proletaria, tutti costoro nella lotta finale si alleano
alla borghesia contro il proletariato. Se il proletariato vince, come in
Russia, continuano la loro opera per sminuirne e distruggerne i successi
d’accordo con le borghesie estere. Se, come in Germania e altrove, il
proletariato é vinto, i socialdemocratici appaiono come gli agenti e i boia
della borghesia.

Ed allora – altra conseguenza della rivoluzione russa – la nuova
Internazionale, che deve sostituire la seconda Internazionale
vergognosamente battuta nell’adesione alla guerra, deve sorgere su questa
base: riunire non già tutti i socialisti che in qualche modo furono contrari
alla guerra, bensì quelli che sono per la rivoluzione, per la dittatura
proletaria, per la repubblica dei Soviet, come unica possibile uscita dalla
situazione lasciata dalla guerra in tutti i paesi.

La nuova Internazionale infatti, sopratutto ad opera dei comunisti russi, si
costituiva a Mosca, tenendovi nel marzo 1919 il primo suo Congresso
mondiale.

Attraverso vicende che non è qui il caso di rammentare, ben presto si
delineò una minaccia per la nuova Internazionale: l’invasione delle sue file
da parte di elementi equivoci, usciti dalla seconda Internazionale, ma non
completamente aderenti alle direttive comuniste.

Per ovviare a tale pericolo si riuniva a Mosca, nel luglio 1920, il II
Congresso mondiale, il quale stabilì che ogni partito desideroso di entrare
nell’Internazionale comunista dovesse, per essere accettato, dimostrare che
la sua composizione e la sua attività corrispondevano al programma e al
metodo comunisti.

A tale scopo il Congresso stabilì una serie di condizioni di ammissione,
nelle quali sono contenuti i criteri a cui i partiti che entrano
nell’Internazionale devono corrispondere.

Queste condizioni si applicano a tutti i partiti senza eccezione. Poiché,
mentre la seconda Internazionale lasciava arbitro ogni partito aderente di
seguire la tattica che meglio credeva – e fu quest’autonomia la causa
principale della sua rovina – la III Internazionale é invece fondata sulla
comunanza ai partiti di tutti i paesi delle fondamentali norme di
organizzazione e di azione; le quali appunto figurano nelle 21 condizioni di
ammissione.

Ciò non vuol dire che la III Internazionale ignori che in ciascun paese
l’azione rivoluzionaria può presentare problemi speciali. Ma mentre nelle 21
condizioni è fissato il contegno dei partiti di fronte ai problemi più
importanti che si presentano in tutti i paesi, il secondo Congresso
stabiliva anche le tesi sui compiti principali dell’Internazionale, di cui
la terza tratta delle modificazioni della linea di condotta e parzialmente
della composizione sociale dei partiti che aderiscono o vogliono aderire
all’Internazionale.

In queste tesi si parla di ciascun paese partitamente ed anche dell’Italia,
che presentava questo speciale problema: la esistenza di un partito, che pur
essendo stato contrario alla guerra ed avendo aderito a grande maggioranza
alla III Internazionale, dimostrava tuttavia coi fatti un’evidente
incapacità rivoluzionaria.

Abbiamo detto quale immenso valore abbiano avuto per i proletatri di tutti i
paesi gli insegnamenti della rivoluzione russa. Quale utilizzazione se ne é
fatta finora nel movimento proletario italiano?

In Italia si é molto parlato della rivoluzione russa, della dittatura
proletaria, dei Soviet, della III Internazionale. Ma furono, in realtà,
quegli insegnamenti, verso i quali si protendeva ansioso il nostro
proletariato, efficacemente intesi ed applicati? Tutt’altro. Il Partito
Socialista italiano accettò nel suo Congresso di Bologna il programma
comunista, aderì alla III Internazionale. Si era nell’agitatissima
situazione del dopo-guerra, che dura tutt’ora, e si parlò molto di
rivoluzione nei comizi, mentre in realtà il partito non aveva mutato dopo la
guerra, né mutò, col Congresso di Bologna, i caratteri tradizionali
dell’opera sua, che seguitò a basarsi nel campo politico sulla pura azione
inspirata da finalità elettorali. Né attraverso la guerra, né per effetto
del Congresso di Bologna fu cambiato quello stato di cose per cui l’azione
politica ed economica del partito era affidata alla destra riformista; e le
conseguenze poterono essere constatate così nell’andamento della campagna
elettorale politica e di quell’amministrativa, come nella piega che presero
tutte le grandi agitazioni che scoppiavano in seno al proletariato italiano.
Il partito, benché diretto da massimalisti, non fece nulla per togliere il
monopolio della Confederazione
del Lavoro ai D’Aragona, Baldesi, Buozzi, Colombino, Bianchi, ecc., la cui
opera spesso si presentò come un indirizzo politico apertamente opposto a
quello del partito, e praticamente si svolse attraverso continui compromessi
con la borghesia, culminando nella famosa derisoria concessione giolittiana
del controllo operaio.

Il Partito socialista italiano in conclusione rimase sostanzialmnete quello
che era prima della guerra, ossia un partito un po’ migliore di altri
partiti della II Internazionale, ma non divenne un partito comunista capace
di opera rivoluzionaria secondo le direttive dell’Internazionale comunista.

L’azione e la tattica dei partiti comunisti a questa aderenti devono essere
ben diversi. I partiti comunisti hanno come loro finalità la preparazione
ideale e materiale del proletariato alla lotta rivoluzionaria per la
conquista del potere. Come mezzi per la loro propaganda, agitazione ed
organizzazione, essi si servono dell’intervento nell’azione sindacale e
cooperativa, nelle elezioni e nei Parlamenti, ma non considerano affatto le
conquiste che si realizzano con queste azioni come fine a se stesse. Il
Partito socialista italiano invece, lasciando dirigere queste azioni dagli
uomini dell’ala destra o anche da uomini della sinistra che da quelli si
differenziano soltanto per affermazioni verbali senza essere capaci di
intendere la nuova tattica rivoluzionaria, non fece utile opera di
preparazione rivoluzionaria, ed il suo massimalismo condusse soltanto a
quella serie d’insuccessi e di delusioni ben noti a tutti i lavoratori, di
cui la destra del partito, infischiandosi dell’impegno assunto di essere
disciplinata a quell’indirizzo che la maggioranza aveva stabilito, si servì
per deridere audacemente il metodo massimalista.

Per evitare tutto ciò non vi sarebbe stato che un solo mezzo: eliminare dal
partito i riformisti, basandosi sulla loro avversione di principio al
programma comunista, per poterli scacciare dalle loro posizioni
squalificandoli innanzi a tutto il proletariato italiano come avversari
della rivoluzione e della III Internazionale, come equivalenti dei
Menscevichi russi e di altri controrivoluzionari esteri.

In questo modo la situazione italiana e l’andamento della lotta di classe
tra noi vengono a confermare quelle esperienze internazionali, su cui si
basano i comunisti per liberare il proletariato dai suoi falsi amici
socialdemocratici.

Tutto ciò in Italia fu sostenuto dagli elementi di sinistra del partito, che
andarono sempre meglio organizzandosi sul terreno del pensiero e del metodo
comunista, ed intrapresero la lotta contro il pericoloso andazzo preso dal
partito.

Lo stesso giudizio intorno alla situazione italiana fu espresso dal
Congresso di Mosca e sancito nelle sue deliberazioni, richiedendosi in esse
che il partito italiano si liberasse dai riformisti, e divenisse come nel
programma così nella tattica, nell’azione e nel nome un vero partito
comunista. Intanto i riformisti italiani, sempre più imbaldanziti dagli
insuccessi del massimalismo che aveva apparentemente trionfato a Bologna, si
erano organizzati in frazione «di concentrazione socialista» col loro
convegno di Reggio Emilia dell’ottobre 1920.

Tutti i comunisti italiani che, al di sopra di singoli apprezzamenti
tattici, accettavano la disciplina internazionale alle deliberazioni di
Mosca, si costituirono in frazione, e nel convegno di Imola del 28-29
novembre 1920 decisero di proporre al Congresso del partito una mozione, che
oltre al comprendere l’applicazione di tutte le altre decisioni del
Congresso di Mosca, stabiliva che il partito si chiamasse comunista e che
tutta la frazione di «concentrazione» dovesse essere esclusa.

L’organo supremo dell’Internazionale comunista ossia il Comitato esecutivo
di Mosca, approvò ed appoggiò tale proposta.

Intanto nelle file del partito, da parte di coloro che tanto facilmente si
erano proclamati massimalisti e avevano inneggiato a Mosca quando si
trattava di andare ai trionfi elettorali, si organizzò una corrente
unitaria, venendo così a costituire una frazione di centro che si opponeva
alla ‘divisione tra comunisti’ e riformisti.

I capi di questa tendenza si dicevano comunisti, ma oggi che essi hanno
dimostrato coi fatti di tenere più ai riformisti e ai controrivoluzionari,
come Turati e D’Aragona, che ai comunisti e alla terza Internazionale,
riesce evidente che essi costituiscono la peggior specie di opportunisti.
Infatti costoro nel recente Congresso di Livorno, capitanati da G. M.
Serrati, hanno respinto le precise disposizioni del Congresso mondiale
dell’Internazionale comunista, trascinando la maggioranza del Congresso a
decidere che i riformisti restassero nel partito, tutti senz’alcuna
eccezione.

Tale atto inqualificabile – voluto da pochi capi che hanno saputo speculare
sull’inesperienza dei gregari – ha preparato questa logica conseguenza:
l’espulsione del Partito socialista italiano dall’Internazionale comunista.

Dinanzi a tale situazione la frazione comunista ha senz’altro abbandonato il
Congresso ed il Partito, ed ha deciso di costituirsi in Partito comunista
d’Italia – Sezione dell’internazionale comunista.

Così i sedicenti «comunisti» della frazione’unitaria serratiana, per restare
uniti ai quindicimila riformisti dell’estrema destra, si distaccano
dall’Internazionale comunista, ossia dal proletariato rivoluzionario
mondiale, e da sessantamila comunisti iscritti al partito, con i quali è
solidale tutto il movimento giovanile, forte di più di cinquantamila
iscritti. A voi, o lavoratori, giudicare il contegno di costoro, a voi il
dire quanto essi siano comunisti, quanto abbiano a cuore le sorti della
rivoluzione proletaria.

Gli «unitari» hanno tentato e tentano di far apparire dovuto ad altre e
sciocche ragioni il loro distacco dall’Internazionale comunista. Essi
affermano che noi avremmo avuto il torto di volere applicare troppo
rigidamente gli ordini di Mosca che, secondo loro, non corrisponderebbero
alle esigenze della situazione italiana.

A ciò noi rispondiamo che l’Internazionale sarebbe una vana parola e nulla
più, se non fosse organizzata sulla base della disciplina. Come le sezioni
di un partito devono essere disciplinate alla direzione centrale, così i
partiti devono esserlo rispetto all’Internazionale. In secondo luogo non si
tratta di ordini personali di Lenin o di altri capi del movimento russo, ma
delle decisioni di un Congresso, al quale hanno partecipato rappresentanti
di tutto il mondo, tra cui cinque italiani, quattro dei quali hanno
accettato le decisioni relative all’Italia, coll’opposizione del solo
Serrati.

Quei compagni, come tutti i comunisti italiani, come tutti quei lavoratori
italiani, che ogni giorno sentivano affievolirsi la loro fiducia nel vecchio
partito, pensavano che le decisioni di Mosca rispondessero ad un maturo
esame ed alle vere esigenze della situazione italiana.

Se i comunisti (?) unitari pensano che quelle decisioni non sono convenienti
per l’Italia, è perché essi hanno un concetto della rivoluzione che
contraddice alle direttive di principio del comunismo internazionale, al
pensiero di tutti i veri comunisti del mondo, siano essi italiani, americani
o cinesi. Esistono in tutti i paesi coloro che pensano come gli unitari
italiani: asseriscono cioè di essere per il comunismo e per la terza
Internazionale, ma nella pratica rifiutano di eseguire le decisioni
dell’Internazionale, col pretesto che non sono applicabili alle condizioni
particolari del loro paese. E sono appunto questi gli avversari più
insidiosi dell’Internazionale.

Un’altra bugia degli unitari è l’asserzione che le concessioni a loro
rifiutate nell’applicazione delle 21 condizioni siano, invece, state
accordate dall’Internazionale ai compagni di altri paesi e sopratutto della
Francia. La verità è del tutto opposta. Il Partito socialista francese nel
recente Congresso di Tours si è dichiarato nella sua maggioranza per
l’adesione a Mosca, però la mozione della maggioranza conteneva alcune
riserve, tra cui quella di conservare nel partito la minoranza centrista. E’
falso che il Comitato esecutivo dell’Internazionale abbia accettato queste
riserve. Al contrario, esso inviò al Congresso di Tours un energico
telegramma, richiedente l’espulsione dei centristi e l’applicazione
integrale delle condizioni di ammissione. La maggioranza del Congresso
accettò disciplinata il contenuto del messaggio dell’Esecutivo. Invece gli
unitari italiani si sono ribellati alle disposizioni dell’Internazionale,
alla quale, a differenza dei Francesi, già erano aderenti. Abbiamo avuto
così il primo caso di un partito che abbandona l’Intemazionale dopo esservi
entrato a bandiera spiegata: negli unitari italiani la terza Internazionale
può così registrare i primi suoi rinnegati.

Costoro accampano ancora il proposito di ricorrere al Comitato esecutivo ed
al Congresso prossimo dell’Internazionale comunista, per ottenere di essere
riconosciuti come tutt’ora aderenti. Poiché in ogni paese non può esservi
che un solo partito aderente a Mosca, l’Internazionale dovrebbe per
riconoscere gli unitari ripudiare il nostro partito e sconfessare
l’atteggiamento da noi tenuto, cosa evidentemente assurda e stranamente
contraddicente alla famosa, affermazione espressa da Mosca.

Il nostro Partito comunista è e resterà l’unica Sezione italiana
dell’Internazionale comunista. Chi non é col nostro partito, sia esso un
borghese od un aderente al vecchio partito socialista, é fuori ed é contro
la terza Internazionale. I membri del vecchio partito che, con mille
menzogne, sono stati indotti a pronunziarsi per la tesi unitaria e ai quali
si é promessa l’unità del putito nella terza Internazionale, possono oggi
vedere chiaramente la situazione. L’unità del partito non esiste più, avendo
esaurito, la sua ragion d’essere, ed essi si troveranno fuori
dall’Internazionale comunista, dalla famiglia mondiale dei lavoratori
rivoluzionari. Essi possono uscire da questa falsa situazione soltanto
abbandonando i capi che li hanno ingannati, e venendo fiduciosi nelle file
del Partito comunista.

Il Partito comunista d’Italia vi si presenta dunque, o compagni lavoratori,
come un prodotto della situazione
creatasi in Italia dopo la guerra mondiale e che va svolgendosi, anche più
rapidamente che in altri paesi, verso la rivoluzione proletaria. Questo
partito comprende in sé le energie rivoluzionarie del proletariato italiano,
esso deve rapidamente organizzarsi come l’avanguardia di azione della classe
lavoratrice. I suoi principi ed il suo programma vi dicono che il Partito
comunista sta sul terreno del pensiero marxista, del comunismo critico, del
Manifesto dei Comunisti, così come tutto il movimento dell’Internazionale di
Mosca. Gli altri che, chiamandoci anarchici o sindacalisti, si rivendicano
continuatori del marxismo, sono invece coloro che lo hanno falsificato.

Noi invece, raccogliendo nelle nostre file la maggior parte di coloro che
sostennero il valore rivoluzionario del marxismo in Italia, dissentiamo,
così come le tesi di Mosca dissentono, dalle teorie anarchiche e
sindacaliste pure considerando i proletari anarchici e sindacalisti come
nostri amici generosamente rivoluzionari, che finiranno col riconoscere la
giustezza delle direttive teoriche e pratiche dei comunisti, mentre invece i
riformisti, i socialdemocratici, e tutti quelli che si sentono di convivere
con costoro si allontanano sempre più dal comunismo e dalla via della
rivoluzione.

Il Partito comunista d’Italia si compone dunque di coloro che veramente
hanno sentito ed accolto, nella mente e nel cuore, i grandi principii
rivoluzionari dell’Internazionale comunista. Nelle sue file sono giovani e
vecchi militanti dell’antico partito: esso continua storicamente la sinistra
del Partito socialista, quella parte cioè di questo partito che lottò in
prima linea contro il riformismo collaborazionista, contro i blocchi
elettorali,
contro la massoneria, contro la guerra libica, che non solo sostenne la
lotta contro i fautori della guerra, ma, che in seno al partito contrastò
tenacemente il passo a coloro che alla guerra erano avversi a parole ma, non
del tutto scevri da pregiudizi patriottici, tendevano a continue transazioni
colla borghesia.

E’vero che restano nel vecchio partito taluni che in certi periodi furono
estremisti, magari più estremisti di noi, ma costoro o sono esemplari del
vecchio fenomeno d’involuzione politica degli individui, o rappresentano i
massimalisti che si improvvisarono tali per opportunità elettorale, o, nella
ipotesi più benevola, sono individui che si credettero dei comunisti quando
ancora non avevano inteso quali siano le differenze vere tra il comunismo e
i pregiudizi borghesi e piccolo borghesi.

Il Partito comunista d’Italia inspira il suo indirizzo tattico alle
deliberazioni dei Congressi internazionali, e quindi intende avvalersi
dell’azione sindacale, cooperativa, elettorale, parlamentare; come di
altrettanti mezzi per la preparazione del proletariato alla lotta finale.

Attraverso l’intimo contatto con le masse lavoratrici, in tutte le occasioni
in cui queste sieno spinte ad agitarsi dall’insofferenza delle loro
condizioni di vita, il Partito comunista svolgerà la migliore propaganda dei
concetti comunisti, suscitando nel proletariato la coscienza delle
circostanze, delle fasi, delle necessità che si presenteranno in tutto il
complesso svolgimento della lotta rivoluzionaria.

Con la rigorosa disciplina della sua organizzazione interna, il Partito
comunista si organizzerà in modo da essere capace d’inquadrare e dirigere
sicuramente lo sforzo rivoluzionario del proletariato.

La propaganda, il proselitismo, l’organizzazione e la preparazione
rivoluzionaria delle masse saranno basati sulla costituzione di gruppi
comunisti, che raccoglieranno gli aderenti al partito che lavorano nella
medesima azienda, che sono organizzati nel medesimo sindacato, che,
comunque, partecipino ad uno stesso aggruppamento di lavoratori. Questi
gruppi o cellule comuniste agiranno in stretto contatto con il partito, che
assicurerà la loro azione d’insieme, in tutte le circostanze della lotta.
Con questi metodi i comunisti muoveranno alla conquista di tutti gli
organismi proletari costituiti per finalità economiche e contingenti, come
le leghe, le cooperative, le Camere del lavoro, per trasformarle in
istrumenti della azione rivoluzionaria diretta dal Partito.
Il Partito comunista intraprenderà così, fedele alle tesi tattiche
dell’Internazionale sulla questione sindacale, la conquista della
Confederazione generale del lavoro, chiamando le masse organizzate ad
un’implacabile lotta contro il riformismo ed i riformisti che vi imperano.

Il Partito comunista non invita quindi i suoi adetenti ed i proletarii che
lo seguono ad abbandonare le organizzazioni confederali, bensì li impegna a
partecipare intensamente all’aspra lotta che si inizia contro i dirigenti.
Non è certo questo breve e facile compito, sopratutto oggi che molti
sedicenti avversarii del riformismo depongono la maschera e passano
apertamente dalla parte dei D’Aragona, con i quali militano insieme nel
vecchio partito socialista. Ma appunto per questo il Partito comunista fa
assegnamento sull’aiuto di tutti gli organi Proletari sindacali che
conducono all’esterno la lotta contro il riformismo confederale, e li
invita, con un caldo appello, a porsi sul terreno della tattica
internazionale dei comunisti, penetrando nella Confederazione, per
sloggiarne i controrivoluzionarii con una risoluta e vittoriosa azione
comune. I membri del Partito comunista, rivestiti di cariche elettive nei
comuni, nelle province e nel Parlamento, restano al loro posto con mandato
di eseguire la tattica rivoluzionaria decisa dal Congresso internazionale, e
con subordinazione assoluta agli organi direttivi del partito.

Una parte dei giornali del vecchio partito resta al Partito comunista, tra
questi i quotidiani L’Ordine nuovo di Torino e Il Lavoratore di Trieste.

Organo centrale del Partito sarà Il Comunista, bisettimanale, pubblicato a
Milano, ove ha sede il Comitato esecutivo del Partito.

Questo, nelle grandi linee, é il piano d’azione che il Partito comunista si
propone, e per l’esplicazione del quale conta sull’adesione entusiastica
della parte più cosciente del proletariato italiano.

Gli avvenimenti, attraverso i quali il Partito comunista d’Italia si è
costituito, dimostrano come esso corrisponda ad una necessità irresistibile
dell’azione proletaria, e dimostrano come esso sorga quale unico organo
capace di condurre alla vittoria la classe lavoratrice italiana.

Il programma di lotta del Partito comunista dimostra che esso soltanto potrà
applicare, nell’azione rivoluzionaria, i risultati delle esperienze italiane
ed estere della lotta di classe e le deliberazioni dell’lntemazionale
comunista.

Il vecchio Partito socialista, nel Congresso di Livorno, ha perduto nello
stesso momento le energie e l’audacia della sua parte più giovane, ed il
migliore contenuto dell’esperienza delle sue lotte passate, che si riassume
nell’affermazione di quel metodo rivoluzionario, di cui oggi il
rappresentante é il Partito comunista.

Il vecchio Partito socialista, nel Congresso di Livorno, ha scelto la via
fatale che ha come ultimo sbocco la controrivoluzione. Esso è squalificato
dinanzi agli occhi del proletariato italiano, ed è destinato, d’ora innanzi,
a vivere solo delle pericolose simpatie borghesi, il cui coro già si eleva
intorno ad esso. E’ il partito in cui la destra coi suoi Modigliani ed i
suoi D’Aragona, é moralmente padrona, e gl’intransigenti rivoluzionari, i
massimalisti, i comunisti di ieri, recitano la parte di servitori del
riformismo.

Lavoratori italiani!

Il vostro posto di battaglia é col nuovo partito, é nel nuovo partito.
Attorno alla sua bandiera, che é quella della Internazionale, dei lavoratori
rivoluzionarii di tutto il mondo, dovete stringervi per la grande lotta
contro lo sfruttamento capitalistico. Il Partito comunista d’ltalia, nel
chiamarvi a raccolta per le battaglie della rivoluzione sociale, si sente in
diritto di salutare a nome vostro i lavoratori di tutto il mondo, inviando
all’lntemazionale comunista di Mosca, invincibile presidio della rivoluzione
mondiale, il grido entusiasta di solidarietà dei proletari e dei comunisti
italiani.

Contro tutte le resistenze del sistema, sociale borghese, contro tutte le
insidie dei falsi amici del proletariato, contro tutte le debolezze e le
transazioni, avanti per la vittoria rivoluzionaria, al fianco dei comunisti
del mondo intero!

Abbasso i rinnegati ed i traditori della causa proletaria!

Viva la III Intemazionale comunista!

Viva la rivoluzione comunista mondiale!

Il Comitato Centrale del Partito comunista d’Italia Ill Comunista 30 gennaio 1921