Manca l’economia

Nello scambio epistolare tra Casarini e Pecoraro Scanio (il manifesto del 23 e 24 agosto) sul tema delle primarie, per la prima volta da tempo, si è scritto dei contenuti programmatici dell’Unione. In particolare, quattro sono i punti sottolineati: amnistia per i reati sociali (e sappiamo quanto ce ne sia bisogno!), chiusura dei Cpt e diritti di cittadinanza per i migranti, ritiro delle truppe in Iraq e altrove e pace «preventiva», modificazione della legislazione antiproibizionista. Non si può non concordare. Colpisce però che nessun accenno venga fatto alle questioni economiche. Si sa infatti che il tema della precarietà del lavoro e del reddito, ovvero precarietà di vita, sia stato centrale nell’attivismo politico del movimento degli ultimi anni: basti pensare alla manifestazione del 6 novembre scorso per il reddito e alle partecipatissime Mayday del 2004 e 2005 oltre a numerose iniziative. Una qualsiasi bozza programmatica di sinistra non può prescindere da questi aspetti. Numerosi, infatti, gli spunti oggi presenti che danno origine a nodi programmatici spesso molto intricati. Provo a elencarli.

1. Precarietà: l’incremento di precarietà è in buona parte dovuto all’intervento legislativo del precedente governo di centro-sinistra (legge Treu) e non mi sembra che, al di là di generici appelli, vi sia la volontà da parte della maggioranza riformista dell’Unione di invertire la tendenza. L’accettazione delle compatibilità economiche dell’impresa è ancora oggi il cardine intorno al quale ruotano le proposte di politica economica dei Ds e della Margherita. Si parla, quindi, di politica industriale e di innovazione tecnologica a sostegno dello sviluppo (quale sviluppo?) e di politiche «attive» del lavoro, finalizzate a favorire l’incontro tra domanda e offerta e a migliorare la formazione professionale, ma purtroppo (!) in un contesto di deculturalizzazione delle università e dell’istruzione. A fronte di queste affermazioni di principio, si può invece chiedere, tramite la proposta di Flexicurity, l’istituzione di un salario minimo orario per tutti, la riduzione delle tipologie contrattuali (oggi più di 40) a non più di 5 o 6 e la fornitura di servizi primari in modo gratuito o agevolato riguardo: l’accesso alla casa, ai sistemi formativi, ai saperi e alla tecnologia, al credito; la mobilità e soprattutto la garanzia di un reddito certo e stabile a prescindere dal contratto di lavoro.

2. Reddito: di fronte alla crisi salariale e reddituale e alla polarizzazione dei redditi in atto da parecchi anni (soprattutto dopo gli accordi del 1992 e 1993), l’unica proposta oggi sul tappeto da parte del centrosinistra è, da un lato, la ripresa della concertazione sindacale (dopo lo strappo della Confindustria di D’Amato) e la politica dei redditi (che si traduce nel solo controllo della dinamica salariale e dà il via libera ai profitti e alle rendite), dall’altro, la possibile istituzione di un sostegno minimo al reddito, parziale, condizionato e familiare solo per i più indigenti (sul modello della ex legge Turco). Va invece chiesta la costituzione di un fondo sociale per la garanzia di reddito diretto e indiretto, incondizionato, ai residenti e individuale e la ripresa per una battaglia conflittuale sui meccanismi redistributivi che intacchino le rendite finanziarie, territoriali e che derivano dall’espropriazione dei beni comuni.

3. Fisco e privatizzazioni: proprio perché la ricchezza che oggi si genera nasce dallo sfruttamento sempre più intensivo ed estensivo della cooperazione sociale produttiva, una qualsiasi riforma fiscale e del welfare non può che ripartire da una tassazione progressiva dei nuovi cespiti di ricchezza oggi dominanti: proprietà intellettuale, beni comuni primari (acqua, energia, comunicazione, sviluppo e diffusione della conoscenza), rendita (o meglio profitto) territoriale e immobiliare, profitto da intermediazione di manodopera, plusvalenze e ricchezza finanziaria, tramite nuovi strumenti fiscali che possono andare da una riformulazione dell’Ici e dell’Irap a seconda della destinazione d’uso, all’ampliarsi della progressività dell’Irpef, all’introduzione di forme di Tobin Tax, all’introduzione di patrimoniali sui beni comuni sino alla loro espropriazione/autogestione per mano dei governi locali e nazionale. Sono alcuni spunti da cui non si può prescindere per cominciare e continuare a intervenire in modo critico e propositivo nei nostri territori, metropolitani e non.