Mamme in trincea: stop ai reclutatori

I genitori americani dichiarano guerra agli agenti del ministero della difesa che arruolano i ragazzi nelle scuole. Le bare dei soldati che arrivano dall’Iraq e gli abusi dei reclutatori mettono in crisi l’esercito di volontari. Mancano 6.600 soldati e solo il 25% dei parenti consiglia ai figli d’indossare la divisa

Dalle discussioni a tavola, con gli adulti che provano a convincere i giovani dell’assurdità dei conflitti in Iraq e Afghanistan, ai comitati genitori-studenti: mamme, papà e ragazzini che si battono assieme per sbarrare l’ingresso delle scuole ai reclutatori, i giovanotti sguinzagliati dal Pentagono a caccia di soldati per l’esercito volontario degli Stati uniti d’America. La «guerra al terrorismo» scatenata dall’amministrazione Bush sembra piacere sempre meno e negli States il sistema dell’arruolamento inizia a scricchiolare. «Un problema sempre più grosso per i reclutatori militari: i genitori», così il New York Times titolava ieri un lungo articolo su una delle questioni che assilla maggiormente l’esercito più potente del mondo. Un’armata quasi invincibile messa in crisi da gente come Rachel Rogers, una mamma di New York che da un mese – dopo aver scoperto che gli arruolatori insegnavano a suo figlio e compagni come lanciare bombe a mano utilizzando palle da baseball – si batte per tenere gli agenti di Rumsfeld lontani dalla scuola del suo ragazzo.

Nel mirino di Amy Hagopian, co-presidente dell’Associazione genitori-studenti dell’istituto superiore di Garfield, a Seattle, c’è una legge federale, «No child left behind», che quattro anni fa ha riformato l’educazione primaria e secondaria. All’interno del provvedimento alcune norme attribuiscono ai reclutatori militari le stesse possibilità d’accesso alle scuole pubbliche che hanno quelli delle università. Gli istituti hanno inoltre l’obbligo di fornire all’esercito numeri di telefono e indirizzi degli studenti, a meno che non arrivi un’indicazione contraria da parte dei genitori. Secondo il quotidiano newyorchese sono sempre di più i genitori che, come le signore Rogers e Hagopian, fanno di tutto per assicurare ai loro figli un avvenire diverso da quello avvolto in una divisa.

«Mentre tre anni fa non più di due genitori su dieci respingevano bruscamente le nostre telefonate, ora capita sempre», ha riferito al Nyt un gruppo di reclutatori, che hanno chiesto di restare anonimi. Tuttavia le scuole sono sottoposte a un vero e proprio ricatto: possono chiudere le loro porte agli uomini di Rumsfeld, ma in questo caso perdono finanziamenti federali.

Il generale Michael D. Rochelle ha dichiarato qualche tempo fa che l’opposizione dei genitori potrebbe mettere in crisi la tenuta dell’esercito volontario. «Non capiscono che hanno un ruolo nel successo dell’esercito volontario – ha spiegato al Nyt David Slotwinski, ex capo dell’ufficio reclutatori -. Se non ci aiutano più, l’alternativa sarà il servizio di leva obbligatoria». Il Pentagono ha contato (l’aggiornamento è al 2 giugno 2005) 1.667 militari morti dall’inizio delle operazioni in Mesopotamia nel marzo 2003. Almeno 1.274 sono stati uccisi in combattimento, secondo le stime del ministero della difesa statunitense. Da quando il 1 maggio di due anni fa il comandante in capo, George W. Bush, dalla tolda della portaerei «Lincoln» dichiarò finite le principali operazioni militari, hanno perso la vita 1.529 ragazzi americani. Gente come il marine 18enne Christopher R. Dixon, saltato su una mina a Karabilah il 16 maggio scorso, come il soldato Wesley R. Riggs, un texano di 19 anni ucciso il giorno successivo a Tikrit. Giovani portati al macello con una martellante campagna di reclutamento che utilizza tutti i media (si veda il sito internet www.goarmy.com), ma particolarmente aggressiva nelle scuole. Ma, a mano a mano che le bare con la bandiera a stelle e strisce tornano sempre più numerose in patria, il fascino dei reclutatori diminuisce. All’appannamento della loro immagine ha contribuito anche una serie di scandali. Un’inchiesta nel Colorado ha appurato qualche tempo fa che gli agenti del Pentagono offrivano, in cambio dell’arruolamento, diplomi falsi e stratagemmi per aggirare le norme antidoping agli studenti. L’esercito ha indagato su circa 500 casi di questo tipo, 91 dei quali si sono rivelati «fondati». Lievi le punizioni: otto reclutatori licenziati, 98 ammoniti. Le bare provenienti dalla Mesopotamia e gli abusi dei reclutatori hanno prodotto un risultato poco incoraggiante per Bush: in questo momento all’esercito mancano 6.600 reclute sul numero previsto. Gli studenti si rifiutano anche di compilare i test attitudinali per l’esercito: da 857.631 questionari consegnati nel `99 si è scesi nel 2004 a 722.449. L’ultimo sondaggio condotto dal Pentagono parla chiaro: nell’agosto 2003 il 42% dei genitori consigliava ai figli di arruolarsi, ora la cifra è scesa al 25%.