Maledette pensioni, è ora di riformarvi

Convergenze parallele. La Commissione Ue, il ministro del lavoro Cesare Damiano e quello dell’economia Tommaso Padoa Schioppa si sono ritrovati in sintonia nel mettere al centro dell’attenzione politica il tema della riforma del sistema pensionistico. Per il ministro diessino la discussione che partirà a gennaio dovrà avere una «forte regia politica per impedire che emergano le spinte corporative dei diversi soggetti». Sul fronte politico il messaggio è chiaro: «è impensabile presentarsi ai tavoli con proposte difformi o immaginare che qualche partito della maggioranza punti a un rilancio in corso d’opera». Più diretto Padoa Schioppa: «certamente il problema è allungare i tempi di attività lavorativa ed è auspicabile farlo in modo volontario. Ci devono essere incentivi e disincentivi».
Due interventi indirizzati a sgomberare preventivamente il campo dalle possibili resistenze della «sinistra radicale» e di larghe aree di movimento sindacale. Non che abbia intimorito troppo, però. Il suo collega Alfredo Pecoraro Scanio ha immediatamente sconsigliato l’apertura di una stagione potenzialmente conflittuale, peché «il governo è stressato, non è il momento di affrontare riforme difficili come quella delle pensoni». Altrettanto deciso il capogruppo del Pdci alla Camera, Pino Sgobio, che si appella al programma dell’Unione e al «grido di dolore di Mirafiori».
Anche la Commissione europea ha detto a sua, nel contesto di un rapporto che prende in esame l’intera Ue. Ma è impossibile qui non rilevare la contraddizione tra il livello dell’allarme («senza misure il debito pubblico dell’Eurozona può passare dal 79% del Pil di oggi a circa il 200% nel 2050», nientemeno) e i conteggi relativi alla spesa pensionistica («l’Italia – come Germania e Francia – deve consolidare le proprie finanze pubbliche nel medio termine, ma è meno interessata allo stretto costo del sistema pensionistico perché ha già riformato il suo sistema previdenziale»).
Insomma: la spesa pensionistica italiana è decisamente sotto controllo e anche l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sarà «a lungo termine relativamente moderato», circa il 2%. I problemi di bilancio dei nostri conti pubblici derivano invece da altri fattori, come il debito pubblico decisamente elevato e la dinamica della spesa sanitaria, zavorrata da un meccanismo che alimenta le prestazioni nelle cliniche private «in convenzione» con servizio nazionale: a una crescita esponenziale dei costi (per favorire i «privati») corrisponde in questo caso una riduzione delle prestazioni offerte in prima persona dal «pubblico». Ma questo è un frutto delle «liberalizzazioni» imposteci, fra l’altro, proprio dalla Ue.
Il senso della «riforma» che si vuo discutere emerge però chiara dal rapporto del Nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale. Che loda la «riforma Maroni» e lo «scalone», ma soprattutto suggerisce di «ritoccare i coefficienti» su cui si calcola l’importo dell’assegno. Bisogna infatti combattere quella voglia di vivere che ci caratterizza tutti, donne in primo luogo. Dice il Nucleo: «da qualche anno una donna su 4 muore oltre la soglia dei novant’anni», creando una situazione «che non può non avere conseguenze importanti per gli equilibri finanziari del sistema». A quando una «modesta proposta» in stile Jonathan Swift?