«Mai un Kosovo indipendente»

Il capo dello stato serbo intervistato a Belgrado: «Non vogliamo imposizioni, siamo aperti al negoziato. Per questo propongo una cantonizzazione in due entità, una serba e l’altra albanese. Ma se al contrario nasce un nuovo stato nei Balcani, sarà l’effetto domino. E riesploderà il nazionalismo serbo»

Asei anni dalla fine della guerra il Kosovo è senza pace. L’Amministrazione Onu e il protettorato militare della Nato hanno di fatto irresponsabilmente avviato la regione, ancora formalmente serba, verso l’indipendenza in aperto disprezzo degli accordi di pace di Kumanovo del giugno 1999 – assunti dall risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite – che posero fine alla campagna di bombardamenti «umanitari» della Nato, che prevedevano il ritorno sotto l’autorità di Belgrado della regione; e nonostante una feroce contropulizia etnica contro le nuove minoranze, i serbi, i rom, i goranji, gli albanesi moderati cha ha visto migliaia di vittime e la distruzione di 150 monasteri ortodossi. E della quale il mondo si è accorto solo in occasione dei pogrom anti-serbi del marzo 2004. Il 2005 doveva essere l’anno nel quale la comunità internazionale avrebbe dovuto sciogliere il nodo dello status definitivo del Kosovo (che i serbi chiamano Kosmet, Kosovo e Metohija, cioè la terra della Chiesa). Anche il recente Rapporto Amato, che pure condanna l’operato dell’Onu, prevede un’indipendenza «per gradi». Ma il negoziato vero e proprio di fatto non è ancora incominciato e, di fronte alle difficoltà, è stato rimandato all’inizio del 2006, mentre il mediatore dell’Onu Martti Ahtisaari è gia arrivato nelle scorse settimane a Belgrado. Al nuovo presidente della repubblica della Serbia, Boris Tadic, in questi giorni coinvolto in incontri e summit – con Jacques Chirac, con i vertici dell’Alleanza atlantica sulla sicurezza dell’area e con il ministro degli esteri italiano Gianfranco Fini che arriverà a Belgrado il 27 prossimo – abbiamo rivolto queste domande sul difficile momento di stallo. Mentre proprio ieri l’Amministrazione Onu ha pericolosamente deciso di trasferire i poteri di polizia e giustizia alle autorità albanesi di Pristina provocando la dura reazione di Belgrado.

Signor Presidente, riguardo alla questione del Kosovo-Metohija che cosa non può assolutamente accettare la Serbia?

E’ indubbiamente uno dei più difficili problemi interetnici in Europa, le radici del conflitto risalgono al profondo passato e alla seconda meta del XX secolo. Poi, negli ultimi 15 anni, nuovi fatti hanno condotto ad un confronto armato. Alla sua soluzione bisogna avvicinarsi con la dovuta cautela, tenendo presente di trovare una decisione equa, accettabile sia per Belgrado che per Pristina. Per la Serbia è inaccettabile ogni forma d’indipendenza per i seguenti motivi: la stabilità della regione sarebbe pericolosamente minacciata, la parte integrante di uno stato sovrano sarebbe strappata senza il suo consenso, il che diventerebbe un precedente pericoloso con un inevitabile effetto domino. Mentre la comunità serba della regione, già da sei anni vittima della pulizia etnica da parte degli estremisti albanesi, si troverebbe di fronte alle nuove espulsioni fino alla sua definitiva sparizione. Nel febbraio del 2005 ho visitato il Kosovo: ho visto il nostro popolo in pessime condizioni di sopravvivenza, privato degli elementari diritti umani e molte enclave, protette dalla Kfor, sono recintate da filo spinato. Queste sono condizioni indegne per l’Europa del XXI secolo, condizioni che credevamo di aver sconfitto 60 anni fa. Per questo il Kosovo dovrebbe rimanere legato costituzionalmente alla Serbia e demilitarizzato. Ricordo che, una delle importanti disposizioni della risoluzione 1244 che riguarda il disarmo dell’Uck, non è stata soddisfatta, così come anche molte altre disposizioni che riguardano lo standard e le condizioni per una vita normale. Come presidente della Serbia è mio dovere proteggere tutti i cittadini della Serbia e anche la sua integrità territoriale. Motivo per cui ho proposto la creazione di due entità, una serba e l’altra albanese. Ogni comunità avrebbe così garantiti i propri diritti, nell’ambito del Kosovo unito: l’ entità serba, a differenza di quella albanese, manterrebbe speciali contatti con Belgrado, mentre quella albanese avrebbe un’ampia autonomia interna. Gli albanesi potrebbero avere accesso alle istituzioni finanziarie internazionali, ma non avrebbero diritto a un seggio all’Onu. A noi serve una risoluzione specifica che includa tutte le esperienze positive che abbiano diversi modelli di coesistenza di due comunità nazionali in forte conflitto, di cui una, numericamente debole, vittima di pesanti persecuzioni.

Cosa pensa delle cancellerie occidentali, firmatarie dell’accordo di Kumanovo e della risoluzione 1244, che ora dopo sei anni cambiano opinione e cancellano quegli accordi ?

Le condizioni politiche dopo il 1999 sono cambiate radicalmente, e dopo l’ottobre del 2000, la Serbia è di nuovo uno stato democratico i cui diritti ed interessi devono essere rispettati e accolti. Penso che per questo motivo sia molto importante comprendere che ogni soluzione riguardo al Kosovo non potrà essere legittimata e mantenuta senza la partecipazione attiva di Belgrado nel futuro status della regione.

Il mediatore Martti Ahtisaari ha iniziato le consultazioni per lo status definitivo del Kosovo-Metohija, arrivando a Belgrado direttamente da Pristina. Quali notizie ha portato?

Il signor Ahtisaari si trova ora nella prima fase di raccolta delle opinioni riguardo ai modelli per la soluzione della questione kosovara. Io gli ho esposto i nostri punti di vista che indicano l’esigenza di trovare una specifica soluzione che accontenti ambedue le parti attraverso negoziati, per garantire la sicurezza regionale e dare la possibilità di conservare l’integrità della Serbia. Da Pristina ha portato gli ormai noti punti di vista dei leader politici albanesi. Attendo che in gennaio – come ha annunciato lo stesso Ahtisari – l’inizio di colloqui per la decentralizzazione vista nella sua totalità, crei condizioni efficaci e durature per la protezione della comunità serba.

Gran parte dei media in occidente ha saputo delle violenze contro i serbi in Kosovo solo nel marzo del 2004. Invece sono cominciate con l’entrata delle truppe del Nato nel giugno 1999…

Reprimere la pulizia etnica nei confronti dei serbi, dopo il 1999, doveva essere la priorità dell’amministrazione internazionale che, proprio in questo campo, ha ottenuto i peggiori risultati. Lo ha dimostrato chiaramente l’inviato Kai Eide nella sua recente relazione per l’Onu. I 2/3 dei serbi sono stati cacciati dalla regione e più di 150 chiese e i monasteri sono stati distrutti. I rimanenti grandi monasteri, in particolare quello di Decani e il patriarcato di Pec, già da sei anni sono difesi con successo dai soldati italiani nell’ambito della Kfor, di giorno e di notte. Io ho sempre sottolineato, nei miei colloqui con gli statisti stranieri che l’unico modo di impedire questo è un’applicazione coerente degli standard prescritti e la creazione di un’entità serba.

La sua proposta per una «cantonizzazione», che potrebbe essere una buona soluzione, in quale direzione va?

La mia proposta di creare due entità è un modello di coesistenza, e non un modello di separazione etnica. Proprio la pulizia etnica, attuata dagli estremisti albanesi dopo il 1999, e che tuttora si pratica, è un forte motivo per la formazione dell’entità serba. L’entità serba sarebbe formata da attuali e da neoformati comuni con autonomia nel campo dell’istruzione, della cultura, della sanità, dell’amministrazione, autonomia giuridica e della polizia e amministrazione, con il diritto di collegamento orizzontale tra di loro, come lo prevede la relazione di Eide. Questi comuni, uniti in entità, avrebbero rapporti speciali con Belgrado, in particolare culturali ed economici. In questo modo si avrebbe una forma basilare per la sopravvivenza della comunità serba e per la sua riabilitazione economica. In questo periodo la percentuale della disoccupazione tra i serbi in Kosovo è del 95%: la maggioranza delle persone è stata licenziata non legalmente oppure semplicemente cacciata dalle ditte dove lavorava.

Avete proposto anche incontri diretti con Ibrahim Rugova a Belgrado. Perché finora, il leader albanese ha rifiutato questi incontri anche con l’ intermediazione della comunità internazionale?

Ho ripetuto più volte di essere pronto ad incontrare gli attuali rappresentanti delle istituzioni del Kosovo, specialmente il presidente regionale, in qualsiasi luogo a sua scelta. Non c’è stata risposta poiché gli albanesi continuano a rifiutare di affrontare la realtà: senza l’accordo con Belgrado non si avrà alcun progresso nella soluzione dello status del Kosovo. Di recente si sono incontrati i ministri di Belgrado e di Pristina per discutere dei beni culturali serbi nel Kosovo, di come proteggerli e delle questioni riguardanti la decentralizzazione. Sono sempre disposto ad incontrare Ibrahim Rugova.

In Kosovo, nella Drenica si sono ultimamente milizie armate. Minacciano di morte i rappresentanti ufficiali ai prossimi negoziati, e nel caso di un non riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, annunciano un insurrezione armata. Possono influire sulle decisioni internazionali?

Penso che il terrorismo sia una gran malattia del nostro tempo e che dinanzi a queste provocazioni non si debba cedere. Non vedo come i gruppetti di terroristi possano aver la meglio sulle numerose forze della Kfor presenti nella regione. Pertanto, non ci sono minacce che possono demotivare la Serbia nella continua ricerca di una soluzione pacifica per il problema del Kosovo.

I pochi serbi rimasti nel Kosovo e Metohija hanno avvisato il rappresentante dell’Onu Ahtisari che, se si arrivasse all’indipendenza, loro lascerebbero il territorio. Che fine farebbero i monasteri ortodossi?

I serbi del Kosovo hanno informato il mediatore dell’Onu sul vero stato delle cose nella zona e lo hanno avvertito sulle conseguenze di ogni soluzione imposta, una soluzione senza il consenso di Belgrado – la cui squadra di negoziatori non a caso comprende anche i loro rappresentanti. Il popolo serbo, come anche i monasteri ortodossi, sarà protetto anche con la decentralizzazione che, spero, porterà la nascita dell’entità serba. I monasteri serbi hanno in Kosovo grandi proprietà terriere: per questo consideriamo la possibilità di creare zone specifiche di protezione attorno a loro, per impedire che siano incendiati o distrutti dagli estremisti albanesi, com’ è già accaduto per 150 luoghi sacri dal mese di giugno del 1999 fino ad oggi.

Quali rapporti ha con la chiesa serbo- ortodossa sulla questione dello status del Kosovo?

Siamo sempre in comunicazione perché condividiamo la stessa preoccupazione per una parte vitale del nostro territorio statale. Di recente il team di negoziatori, con a capo il premier Kostunica, ha avuto una riunione specifica con la commissione della Chiesa serba del Kosovo, nella quale ci hanno esposto in dettaglio i loro punti di vista. Nel team di negoziatori sarà formato un gruppo di lavoro per la protezione dei tesori e dei beni della chiesa.

C’è il pericolo di una radicalizzazione del nazionalismo serbo?

La Serbia ha trascorso quasi un decennio nell’isolamento, periodo in cui è stata esposta ad ogni tipo d’indottrinamento nazionalista, oggi però esiste una maggioranza democratica, schierata per l’integrazione europea. La radicalizzazione delle forze nazionaliste è possibile soltanto se il Kosovo, nonostante gli accordi, diventerà indipendente. Per questo per preservare le energie democratiche in Serbia e il suo futuro europeo, ed anche il futuro della regione intera, è molto importante che il Kosovo non diventi indipendente.

E’ possibile l’effetto domino nei Balcani che, di fronte al riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, rischia di vedere i serbi di Bosnia puntare all’unificazione con la Serbia e l’esplodere della fragile pace etnica in Macedonia? Come giudica la decisione dell’Albania di appoggiare il Kosovo indipendente e cosa trascina con sé il referendum annunciato per l’indipendenza del Montenegro?

Un effetto domino in varie direzione è più che certo nel caso di una soluzione imposta, perché così si creerebbero precedenti pericolosi che invierebbero un messaggio sbagliato per la regione. In tal caso si avrebbe un’escalation di diversa intensità, difficile da controllare. Proprio per questo motivo è importante che il Kosovo trovi un vero accordo bilaterale e una soluzione politica obiettiva. Senza vincitori né vinti.

Qual è il rapporto della Serbia con l’Unione europea?

La Serbia s’è schierata per l’entrare nell’Unione europea e questo è il desiderio della maggioranza dei suoi cittadini. Con l’inizio dei negoziati sulla stabilizzazione e sull’adesione sono già stati fatti i primi passi incoraggianti, anche se c’è ancora molto da fare. Sarebbe di grande utilità se da Bruxelles, parallelamente agli incoraggiamenti, arrivasse un sostegno finanziario qualificato e necessario per la grande trasformazione democratica della società serba in corso.