Maggioranza difficile sulla missione afghana

Forse non basteranno neanche i senatori a vita. Ci vorrà l’ aiuto di Marco Follini e della sua mini-pattuglia a Palazzo Madama. Oppure Romano Prodi dovrà tentare la seconda fiducia (dopo quella sull’ aumento dei ministeri), così come gli ha chiesto Oliviero Diliberto per poter far votare al Pdci un provvedimento che altrimenti non potrebbe appoggiare. Insomma, o si addiviene a un compromesso sulla missione italiana in Afghanistan, o il rischio è che una decina di senatori della sinistra radicale voti contro il decreto di rifinanziamento della missione. Ore 16,30, squilla il cellulare di Franca Rame, che a Palazzo Madama rappresenta il movimento di Antonio Di Pietro. «Scusi, senatrice, ha deciso come voterà sull’ Afghanistan?». «Sto all’ aeroporto, non sento nulla, sa, vicino a me c’ è una comitiva molto chiassosa». A dire il vero non si sentono voci, né rumori molesti. Ma la Rame insiste: «Non sento niente, richiamatemi tra un’ ora». Ore 21, il cellulare della senatrice di Italia dei Valori è sempre spento. Avrà dato un’ intervista in esclusiva per annunciare il suo «no»? O avranno ragione quelli di Rifondazione comunista che dicono: «Dopo che abbiamo appoggiato Dario Fo alle comunali di Milano la Rame non può metterci in difficoltà»? Però si sa che l’ attrice ha già detto a più di un collega senatore che votare a favore della missione e contro Gino Strada (che invece chiede il ritiro) le sarebbe molto «difficile». Ma intanto Rifondazione comunista è in sofferenza. Eccome se è in sofferenza. Le minoranze interne hanno annunciato già il loro «no» al decreto di proroga della missione in Afghanistan, e i vertici del partito faticano a trovare una posizione condivisa. Claudio Grassi, senatore dell’ «Ernesto» avverte: «Se dovessi votare questa missione così com’ è stata finora, il mio voto sarebbe contrario. Anche Gino Strada, sul Corriere della Sera, ci chiede di mantenere fede ai nostri impegni: non possiamo stare all’ opposizione e votare “no”, e poi andare al governo e cambiare opinione». E uno. Quindi, ecco arrivare l’ esternazione di Gigi Malabarba, leader di un’ altra delle componenti di minoranza del Prc, «Sinistra critica»: «Io – spiega il senatore di Rifondazione – non la voto una missione militare come quella approvata dal governo Berlusconi. Dunque, se per l’ Afghanistan in Parlamento ci viene proposto lo stesso provvedimento che abbiamo bocciato tante volte, io voto contro». E due. Ma le minoranze, a Palazzo Madama, di rappresentanti ne hanno quattro, quindi la situazione si complica. Senza contare il fatto che anche un altro senatore, eletto come indipendente nelle liste del Prc, Francesco Martone, è a disagio: «Ero e resto contrario a quella missione», afferma. Per questa ragione i vertici di Rifondazione stanno cercando di trovare una soluzione, anche perché domani ci sarà il comitato politico del partito, cui spetta il compito di eleggere i nuovi organismi dirigenti, ma che inevitabilmente affronterà questo tema. Il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore sta facendo del suo meglio per evitare strappi e rotture. Ha proposto una mozione d’ indirizzo comune a tutta l’ Unione, per fissare dei paletti alle missioni italiane. Il presidente dei deputati dell’ Ulivo, Dario Franceschini, gli ha fatto da sponda seguendo questo ragionamento: «Meglio affrontare la questione subito, una volta per tutte, altrimenti il rischio è che ogni sei mesi, di fronte a un decreto di proroga e rifinanziamento, ci troviamo daccapo a dodici». Sponda essenziale quella dell’ Ulivo. Perché in sé non vi sarebbe nulla di drammatico se a palazzo Madama quattro rappresentanti di Rifondazione comunista, più qualche altro esponente della sinistra radicale, votassero contro l’ Afghanistan. Certo, politicamente, sarebbe un fallimento, ma i numeri non mancherebbero perché c’ è pur sempre la rete di protezione dei senatori a vita e di Follini. Il problema è che i comunisti italiani non si farebbero scavalcare a sinistra da una pattuglia di parlamentari del partito di Bertinotti e, quindi, il rischio è che i senatori del Pdci votino tutti contro. L’ ammonimento di Manuela Palermi, ex addetta stampa di Diliberto, e ora presidente del gruppo che al Senato riunisce verdi e Pdci, è abbastanza esplicito: «Andare avanti senza un chiarimento sarebbe suicida», dice la senatrice. Ma l’ agitazione, a Palazzo Madama, si allarga e il malessere non investe solo il gruppo del Prc e i «fratelli coltelli» del Pdci. Ci sono i verdi, che non nascondono di avere dei problemi. L’ ultrapacifista Mauro Bulgarelli, deputato nella scorsa legislatura e ora al Senato, è netto: «Basta con le ipocrisie – dice – perché quello che era sbagliato all’ opposizione lo è anche oggi. Le nostre truppe vanno ritirate da Kabul il prima possibile. Io terrò fede ai miei impegni pacifisti e se la missione resta questa voterò no». Ed è tutto appeso a questa frase ricorrente: «Se la missione resta questa…». Basterà la mozione di indirizzo proposta da Rifondazione – e accolta subito dall’ Ulivo – per cambiare i connotati della missione e spingere i pacifisti della sinistra radicale a votare «sì»?