«Ma sulla legge 30, Moratti e Bossi-Fini la sinistra radicale per ora sta tacendo»

«Stop precarietà ora», l’8 luglio all’assemblea di Roma c’è anche la Confederazione dei Cobas. Il leader Piero Bernocchi ci spiega il senso della partecipazione dei sindacati di base, concentrandosi sulla politica «di continuità» del nuovo governo. E, soprattutto, sul «silenzio di partiti come Rifondazione, i Verdi, il Pdci, che sembrano guardare dall’altra parte, in una distrazione impressionante, mentre eravamo tutti d’accordo sulla contrarietà alle leggi 30, Moratti e Bossi-Fini, e su una decisa politica di pace».
Eppure sotto il vostro appello ci sono anche firme di parlamentari di quei partiti.
Sì, ma è ben altra cosa rispetto a come si stanno comportando gli eletti al Parlamento – con pochissime eccezioni sull’Afghanistan – e tutti quelli che hanno preso ruoli nel governo. Sulla legge 30, sulla politica di continuità che ha lanciato il ministro Damiano, che propone modifiche minimali, nessuno dice niente. La stessa circolare sui call center è un segnale negativo: non solo non risolve il problema per tre quarti degli addetti, ma per ora gli ispettori non sono altro che semplici «informatori» delle aziende. Si blocca un insieme di ispezioni che ad esempio in Atesia erano state avviate con ottimi frutti, togliendo le castagne dal fuoco al gruppo Cos, che peraltro ha moltissime commesse pubbliche. Così avviene per il ministro Fioroni sulla riforma Moratti, di cui non si capisce bene cosa vogliano cambiare, e così per la Bossi-Fini, dove non emerge la volontà di abrogarla. Con l’assemblea dell’8 luglio, che pure mette insieme – e con una certa difficoltà – gruppi diversi, abbiamo posto al centro la necessità di combattere la precarietà, perché è il vero male della nostra epoca. Ci ha unito un fatto oggettivo: ormai il lavoro che viene creato è per la maggior parte precario, un giovane su due lo è; e anche quando hai un contratto formalmente stabile puoi essere vittima di appalti ed esternalizzazioni. C’è poi lo straordinario messaggio dei giovani francesi anti-Cpe: lì si è visto che la precarietà non è un portato necessario dell’economia, ma che al contrario, se ci si organizza e si lotta, è un modello che si può respingere.
Come si potrebbe invertire la rotta?
Per quanto ci riguarda, non smettendo di lottare e rivendicare. Come Confederazione Cobas abbiamo vissuto due importanti mobilitazioni che potrebbero fare da esempio e da battistrada. Quella di Atesia, che ha dimostrato che anche i lavoratori precari hanno coscienza della loro condizione, che si possono unire e riescono a scioperare per rivendicare il tempo indeterminato e un salario degno. E la vertenza degli ospedali romani, dove ben il 52% dei lavoratori è esternalizzato: abbiamo ottenuto, a partire dal Sant’Andrea, un’inversione di rotta, con il cambiamento di una legge regionale e l’avvio della reinternalizzazione. Si capisce così che il lavoro di qualità e la qualità dei servizi ai cittadini sono inscindibili. E qui viene la parte che può e deve fare il governo: assumere i precari del pubblico impiego e della scuola è una priorità ineludibile. Prendiamo quelli della scuola, almeno 200 mila storici, con anche 20 anni di anzianità sulle spalle, che si potrebbero assumere visto che nei prossimi 6-7 anni si pensioneranno circa 40 mila lavoratori ogni anno. I 23.500 assunti da Fioroni, peraltro un’eredità del ministro Moratti, non coprono neppure il turn over: se fossero cifre confermate ogni anno, vorrebbe dire che il governo intende tagliare decine di migliaia di posti. No alle finanziarie «lacrime e sangue» annunciate da Padoa Schioppa, no alla moratoria dei contratti: i lavoratori, i pensionati, le fasce deboli non possono più dare.
Dunque un messaggio forte al governo.
Sì, a questo governo, ma anche e soprattutto alla sinistra cosiddetta «radicale»: spero dimostrino coerenza con quanto promesso in campagna elettorale, perché per ora ci stanno deludendo. Ci prepariamo a una grande mobilitazione a fine ottobre, e potrebbe anche essere accoppiata a uno sciopero generale, se la finanziaria annunciata si dovesse concretizzare. Ugualmente diciamo no alla Bolkestein: il governo si impegni a tutelare beni comuni come la sanità, l’istruzione, l’acqua, anche qualora quella direttiva passasse in Europa. Con noi ci sono le associazioni, e parte dei movimenti, come Acrobax, i centri sociali romani e del Nord Est, Esc, che abbiamo tenuto dentro per non opporre le istanze cosiddette «lavoriste» – tempo indeterminato, retribuzione adeguata, diritto alla pensione – con quelle «alla May Day», ovvero il reddito di cittadinanza. Riconosciamo che, pur dando piena centralità a un lavoro stabile, non c’è contraddizione con la continuità di reddito.