Il treno ha avviato la sua corsa. Accelererà e rallenterà al bisogno. Ci sarà gente che sale e gente che resta a terra. Qualcuno che decide di scendere. Altri che lo perderanno. Fermate programmate e qualche imprevisto. E poi via con le insegne e le bandiere al vento. Tante. Vecchie e nuove. Tutte quelle che chi è salito si è portato dietro, aggrappato alla sua identità e spaventato del nuovo che avanza, non necessariamente oscuro ma certamente sconosciuto. Tutto da costruire, assieme a tanti altri che vengono da altre storie, altre esperienze, altre identità. E’ fatto così un soggetto plurale, aperto. Non un guscio vuoto rinchiuso su se stesso, ma un treno che va avanti, faticosamente, spinto dalle tappe e dalle destinazioni che chi è salito si è dato e spera di riuscire a raggiungere. Nei tempi che ci vogliono. Con i cambiamenti necessari. Perché non siamo soli a fare quel percorso.
Dunque si cambia. E il cambiamento è il tratto saliente di questa sinistra che è già – benché per tanti aspetti ancora indefinita – qualcosa di più di quello che siamo stati. Si cambia il simbolo? Qualcuno è spaventato, rammaricato, incazzato, pronto a elaborare il lutto. E proprio di questa faccenda del lutto non se ne può più, perché c’è ancora chi non è riuscito a elaborare quello dell’89, quello del ’90, quello del ’91. Qualcuno dica che il padre è stato ucciso tante di quelle volte che non si può continuare a sentirsi orfani, costretti anzi a diventare adulti. Qualcuno dica che non di morte si tratta, ma di vita e di linfa nuova. Condivisa. E quante possono essere le declinazioni della condivisione?Tante. Tante quanti saremo.
Dunque anche il simbolo dovrà essere condiviso? Se si va uniti alle
prossime elezioni questo sembra il minimo. Si è andati tante di quelle volte, anche quando c’era il Pci, a liste unitarie con l’emblema di Garibaldi. E in tutte le elezioni dei sindaci democratici, dal ’93 in poi, si è sempre andati con simboli “neutrali”: mani che si stringono, qualche torre, origami in circolo che si tengono per mano. E qualche volta abbiamo anche vinto. Come in Puglia.
Per il resto, per il dopo, ci sarà tempo per pensarci. Sono tanti anni che, in tutta la strada compiuta, le esperienze si sono intrecciate portando tante bandiere diverse nei cortei ejnelle manifestazioni. Quelle arcobaleno del pacifismo. Quelle verdi o gialle dei movimenti ambientalisti. Quelle rosse del sindacato. Abbiamo già smarrito il senso del Venti di Ottobre? Perché ci dovremmo arenare adesso su un simbolo che, diciamolo, è proprio lo stigma del nostro bel passato di comunisti, di lavoratrici e lavoratori – e che resta il simbolo di alcuni partiti, che non muoiono – ma che evidentemente non può essere quello di tutti?
Già il rimpianto si aggruma. Le nostalgie si accatastano. Come se fosse il simbolo che tiene assieme un’identità debolissima e un’appartenenza pronta a dissolversi, e non invece quello che le donne e gli uomini che hanno deciso di intraprendere questo cammino ci metteranno dentro e decideranno di fare, tutti assieme. Dilemma di sempre: la forma e il contenuto. Prima la riconoscibilità e le belle bandiere dietro cui marciare, spesso esclusive, o prima le idee, gli obiettiviele strategie da intraprendere, per quanto possibile allargate e inclusive? In tanti scrivono al giornale. E’ cosa buona e giusta. Marco Sferini, segretario del Prc di Savona: «La determinazione a procedere sulla via del simbolo unico e sulle liste uniche sembra già stabilita senza la consultazione di alcuna istanza decisionale del Partito… Basta leggere il gongolamento dei dirigenti di Sinistra Democratica sul loro sito internet. Io dico un NO deciso. Un NO politico a tutto tondo al simbolo unico e al partito unico della sinistra».
Scrive Aurelio Crippa: «Ho letto con stupore che dovrebbe nascere un nuovo simbolo per le forze della sinistra. Chi ha deciso? Per quanto mi riguarda, se così fosse, la considero una scelta immotivata, avventata. Chiedo l’immediato coinvolgimento di iscritte e iscritti, gli unici abilitati a decidere». E Fosco Giannini, senatore del Prc e direttore de “L’Ernesto”: «Leggo su Liberazione di oggi, 15 novembre, che il mio Partito, il Prc, avrebbe deciso di abbandonare – per scegliere il “logo” della “Cosa Rossa” – il simbolo comunista della falce e martello. Dichiaro di essere profondamente contrario a tale scelta e che mi batterò per il mantenimento del simbolo comunista…». Roberta Fantozzi, a nome della segreteria di Rifondazione comunista, in un comunicato ufficiale precisa: «La riunione che si è tenuta mercoledì fra le delegazioni dei quattro partiti della sinistra sugli stati generali è stata una riunione estremamente positiva, che ha sancito l’avvio concreto del percorso unitario e il suo carattere aperto fin dall’inizio a soggettività sociali, movimenti, e ad ogni singolo individuo che voglia portare il proprio contributo. Ha anche stabilito che ci si doterà di una carta di intenti, e dunque di un profilo condiviso e di un simbolo comune, che si lavorerà a un’agenda di priorità politiche e di campagne, che la partecipazione sarà un elemento costitutivo del nuovo soggetto unitario e plurale.
«Moltissimo, dunque. Quello che non ha deciso, né poteva decidere -afferma il documento – è che sia in sostanza possibile lo scioglimento di Rifondazione comunista. Non è demandato al soggetto unitario e plurale la sovranità sul futuro di Rifondazione, sulla sua autonomia politica e organizzativa, come invece sembra leggendo l’artìcolo di Stefano Bocconetti. E’ del tutto legittimo che in merito al percorso unitario a sinistra esistano punti di vista e aspettative diverse. Quello che non si può fare è tuttavia sovrapporre i propri punti di vista alla realtà, modificando su nodi di assoluto rilievo le posizioni in campo. Posizioni espresse in decine di documenti ufficiali».