Ma io dico: con questo governo bisogna essere inflessibili

Provo a riempire gli spazi lasciati in bianco, qualche giorno fa. Questa volta, però, non sono del tutto d’accordo con il direttore, che sabato ha scritto che coloro che lamentano incongruenze e contraddizioni nell’avvio del governo di centrosinistra hanno torto. Secondo me invece hanno completamente ragione.
Prima di tutto perché queste lunghe e faticose settimane di avvio istituzionale hanno sicuramente diffuso sentimenti di disincanto tra chi il centrosinistra l’ha votato. Ne colgo molti in giro, più di quanto pensassi, segno che le speranze sono tante ed urgenti ed i rischi di delusione altissimi.

Ma non si tratta solo di psicologia. Chi critica ha ragione in concreto. Ci sono scelte che non costano, almeno con l’Unione europea o con il Fondo monetario internazionale. E, invece, già qui le cose non sono andate bene, perché:
1) il centrosinistra doveva e poteva mantenere gli impegni per una rappresentanza adeguata di donne al governo. Dire che si è fatto comunque meglio del centrodestra in questo campo è davvero poco. Il fatto poi che gran parte delle ministre siano senza portafoglio, non è proprio un bel segnale, non solo sul terreno del riconoscimento della differenza di genere, ma neppure su quello della parità;
2) il centrosinistra ha costruito una compagine governativa di cento persone. Se l’avesse fatta di 70, il governo funzionerebbe meglio e il paese avrebbe avuto un piccolo, ma simbolicamente forte segnale di rigore in alto. Il peso preponderante del partito democratico in costruzione e lo scontro di potere al suo interno hanno invece determinato una compagine governativa pletorica e con scelte prive di razionalità;
3) la sinistra radicale, in tutte le sue anime, è chiaramente sottorappresentata nel governo, sia rispetto alla sua forza reale, sia, ancor di più, rispetto ai sentimenti della grande maggioranza di coloro che hanno votato per il centrosinistra. Vogliamo ricordare che l’Unione ha raccolto 20 milioni di voti alla Camera e che nei due sfortunati referendum – quello per l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e quello per l’abrogazione della legge sulla fecondazione assistita – 11 milioni di elettori hanno votato per l’estensione dei diritti. Non bastano i lamenti di Piero Ostellino o le pressioni della Confindustria a qualificare la composizione del governo. Più saggiamente Eugenio Scalfari ricorda, su Repubblica, che in tutti i posti strategici – economia, lavoro, scuola, giustizia, diritti civili, politica estera, politica dell’ordine pubblico – il potere d’indirizzo è saldamente in mano alle componenti moderate e riformiste dell’Unione. Questo nulla toglie al fatto positivo che nel governo sono presenti compagne e compagni di grande valore, che saranno capaci di farsi valere. Così come anche tra le componenti del partito democratico non tutti sono uguali, pensiamo a Rosy Bindi, che, relegata in una posizione difficile, si fa già sentire. La sostanza però è che il pacchetto di comando del governo ha una cultura sola.

Quattro: in conclusione, non dobbiamo considerare il modo di fare politica, la trasparenza nella rappresentanza, una questione “altra” dal governo. Abbiamo lottato contro Berlusconi non solo per quello che fa, ma per come lo fa, per lo stampo autoritario che vuole imporre alla nostra democrazia. L’alternativa però non è il ritorno al vecchio regime delle oligarchie dei partiti, tanto più in una fase in cui i partiti sono praticamente assenti nella società. La ricostruzione della democrazia è prima di tutto ricostruzione della partecipazione e pertanto anche di una corrispondenza profonda tra rappresentati e rappresentanti. Nessuno oggi riceve una delega in bianco.
Detto questo, so anch’io che è decisiva la prova dei risultati concreti nell’azione di governo. Anche qui però i primi segnali sono confusi e contraddittori. Lasciamo perdere le singole interviste e guardiamo gli atti ufficiali sui temi centrali della pace e della guerra e della lotta alla precarietà.

Sull’Iraq il presidente Prodi è stato chiaro quando ha detto in Senato che la guerra era sbagliata e l’occupazione militare pure. Però subito dopo ha replicato ai fischi della destra dicendo che in fondo il centrosinistra fa esattamente quello che ha deciso di fare il precedente governo. O è valida l’una o è valida l’altra delle due affermazioni, esse assieme non stanno.

Il programma dell’Unione recita di superamento della Legge 30. Questo termine ci dice che possiamo discutere, e anche litigare, sui modi e sui tempi per raggiungere tale obiettivo, ma non sull’obiettivo stesso. Si supera ciò che non si vuole più, che deve sparire. Il presidente del Consiglio Prodi, in Senato, ha parlato invece di revisione della Legge 30. Come si sa, si rivede una macchina che si vuol far ripartire, e in questo caso non saremmo in dissenso sui mezzi, ma sui fini.

Ci sono poi altri temi che incombono. Alcuni non sono ben definiti nel programma: cosa faremo in Afghanistan, dove la Nato ci chiede di partecipare a una guerra e un amplissimo fronte pacifista domanda, invece, di finirla con le finte missioni umanitarie? Cosa faremo sui Cpt, sulla scuola, dove non siamo riusciti a ripristinare la targhetta “pubblica istruzione” sul ministero? Insomma, c’è tanto da discutere, ma ciò che a me pare negativo è che tutto questo avvenga in sedi molto ristrette, con il rischio di compromessi di vertice comprensibili solo per chi li ha stilati.

So bene che la politica è mediazione, ma la mediazione è buona non solo quando fa fare passi avanti, ma quando è partecipata. Sul programma dell’Unione pesa la tara originale di non essere stato sottoposto a consultazione. Ora, però, nella fase di governo, o si trovano i mezzi per cui la partecipazione si riavvia, oppure saranno guai.

Ci sono stati in queste settimane eventi importanti. Le presidenze della Camera e del Senato affidate a sindacalisti, come dice rabbiosa la destra. La Presidenza della Repubblica affidata a chi proviene dal gruppo dirigente storico del Pci e quella della Camera al segretario di Rifondazione comunista, tutti questi sono fatti di grande valore. Ma proprio essi esigono che il cambiamento sia reale e visibile. Non si aiuta la lotta contro i tentativi di rivincita di Berlusconi con buonismo o accondiscendenza. Così si alimentano delusione e rassegnazione: “li abbiamo votati, sapevamo che più di tanto non potevano dare, accontentiamoci”. Con questo spirito non si costruiscono né consenso, né movimenti, né risultati adeguati.

Aiutiamo di più il centrosinistra e noi stessi se siamo inflessibili con le magagne e con le incertezze del governo. Solo se saremo rigorosi e fermi con coloro che abbiamo votato, proprio perché li abbiamo votati, solo così potremo realizzare quel cambiamento profondo senza il quale si torna indietro.