Le stime Istat sugli aggregati economici regionali nel 2010 hanno innescato l’ennesimo dibattito surreale. Queste le cifre: a fronte di una crescita media italiana del +1,3 per cento, il Nord-ovest ha fatto registrare un +1,7 per cento, il Nord-est un + 2,1 per cento, il Centro un +1,2 per cento e il Sud appena un +0,2 per cento. Il distacco è ancora più marcato se prendiamo la produzione industriale: Nord-ovest +3,7 per cento, Nord-est +3,9 per cento, Centro +2,3 per cento, Sud -0,3 per cento.
Conclusione tratta da molti commentatori: l’Italia non cresce abbastanza per colpa del Sud. Variante lumbàrd: liberiamoci del Sud, e l’Italia volerà come la Germania.
I dati Istat però non ci dicono questo. Ci dicono che il Nord-ovest e il Nordest oggi crescono di più del resto d’Italia perché prima avevano perso di più. Nel 2009, infatti, il pil nazionale era diminuito del 5,2 per cento. Ma il Nord-ovest aveva perso il 6, il Nord-est il 5,6, il Centro il 3,9 e il Sud il 4,3. Quanto alla produzione industriale, i dati (atroci) erano: Italia -13,2 per cento; ma Nord-ovest -14,9, Nord-est -13,5, Centro -10,5 e Sud -11,9.
Esultare oggi per un +3,9% di produzione industriale 2010 quando l’anno prima si era perso il 13,5 significa, come dicono a Roma, “consolarsi con l’aglietto”. E soprattutto non capire che la strada per tornare ai livelli di produzione di crescita pre-crisi è ancora lunga. Ma forse qui c’è qualcosa di peggio: l’ennesimo diversivo nella gestione mediatica di questa crisi. Prima ci hanno detto che riguardava solo la finanza, poi che “sì c’è qualche problema ma riguarda la fiducia dei consumatori perché i soldi ci sono”, poi che “la crisi c’è ma l’Italia reagisce molto meglio degli altri” (era vero esattamente il contrario), e adesso ci raccontano che stiamo andando alla grande ma per nostra sfortuna c’è il Sud.
Si continua a minimizzare. Invece è l’Italia intera che arranca, e non da oggi: nel periodo 2001-2010 siamo cresciuti dello 0,2 per cento annuo anziché dell’1,3 medio dei Paesi dell’Unione Europea. E dalla crisi l’Italia esce indebolita nella capacità esportativa, mentre aumentano le importazioni sia di beni intermedi che di prodotti finiti (soprattutto di alta tecnologia): di qui il forte peggioramento del nostro deficit commerciale nel 2010. La situazione del mercato del lavoro è drammatica: 2,1 milioni di disoccupati, a cui vanno aggiunti altri 2 milioni di scoraggiati, ossia persone che non cercano neppure più un lavoro (quota doppia della media europea). Questo fenomeno è più accentuato al Sud, ma ad esempio i giovani che non lavorano e non studiano negli ultimi 2 anni sono aumentati di più nel Nord-est (+20,8 per cento).
I motivi di questa situazione sono arcinoti. In Europa siamo indietro agli altri per dimensione media delle imprese, e quindi per investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico e per produttività del lavoro; ma anche per livello di scolarizzazione e per infrastrutture. Siamo invece leader nell’evasione fiscale, nel lavoro nero e nella criminalità organizzata. Da tempo nessuno di questi problemi è più esclusiva del Sud.
Per affrontare gran parte di essi sarebbe necessaria una seria politica industriale (nazionale e non “federalista”). Invece di interpretazioni fantasiose e consolatorie dei dati Istat.