L’uovo democratico

Un mondo migliore iniziò nel febbraio 1968 quando un gruppo di «dreamers», come li chiamerà Bernardo Bertolucci, manifestarono davanti alla Cinémathèque di Parigi. Volarono sampietrini. Un manifesto poi l’immortalò con la scritta «La bellezza scende in piazza», riprodotto in decine di libri che celebrano in questi giorni i 40 anni del maggio francese. I contestatori si chiamavano, tra gli altri, Jean-Luc Godard e François Truffaut, protestavano contro il governo De Gaulle che aveva rimosso il fondatore della cineteca, il «dispensatore generoso di poesia e meraviglie» Henri Langlois.
Era stata tolta, allora, la parola al potere, ai più forti, e restituita ai «sognatori» senza palcoscenico, senza televisioni, che difendevano il diritto ad alzare la voce contro la violenza delle gendarmie politiche e mediatiche. Dietro la levata di scudi in difesa di Giuliano Ferrrara, che in questi giorni copre l’intero «arco parlamentare» (con qualche significativa eccezione), c’è la criminalizzazione del dissenso politico, che in più articoli di commento è attribuito a quella stagione politica, sorgente degli «anni di piombo», testualmente evocati in merito ai lanciatori di uova e di ortaggi di Bologna.
In controluce l’inchiostro versato sulle pagine dei giornali visualizza un corpo insorgente creduto morto, una massa selvaggia «malata di ideologia», che pretende il «diritto all’intolleranza», una feccia risorta dall’aldilà, estranea alla democrazia. Residui di una «certa sinistra», nel migliore dei casi. Ai duemila contestatori viene negato infatti un «luogo» mentale e politico, sono solo appartenenti a «centri sociali», covi non identificabili, indicibili. Mentre, evidentemente erano riconoscibili come militanti della sinistra di base, appartenenti a collettivi femministi e alla sinistra arcobaleno, in aperto contrasto con i vertici.
La maggioranza dei difensori di Ferrara non ne condivide affatto le idee, rifiuta di definire l’interruzione di gravidanza un omicidio, e potrebbe senza fatica schierarsi con i suoi avversari. Dunque perché tanto scandalo di fronte a una piazza che lancia pomodori secondo la tradizione del loggione in faccia al tenore stonato? Con un capovolgimento di senso, si attribuisce ai contestatori un atto di lesione della democrazia, e anche le più altre cariche istituzionali si sentono chiamate alla solidarietà, perché «tutti hanno diritto di parlare» senza essere interrotti. È vero il contrario, una democrazia non esiste senza il diritto alla protesta, senza che il senatore di turno veda incrinato il flusso della sua arringa contro la libera scelta delle persone. E questa unanimità mette i brividi, altro che i lanciatori di cavoli, perché converge, tutta, verso la censura di ogni forma di estraneità al pensiero unico, all’interpretazione banale della democrazia, dove il dissidente è espulso ed etichettato come terrorista. È questa la prova dell’asfissia della politica, che ci mostra in queste ore la crisi della rappresentanza in una campagna elettorale soporifera, bipartisan. Ieri erano i fischi contro sindacalisti e deputati, oggi l’uovo che Ferrara ha stampato trionfalmente sulla testata del suo giornale. Non gli «stupidi» manifestanti, come qualcuno ha scritto, hanno dato visibilità al crociato – una volta «cattivista» in guerra di civiltà e ora vittima buonista – ma il coro dei feroci moderati, uniti nella casta che giudica chi ha il permesso di entrare nel loro salotto.