L’uno-due anti-Usa

Non è un buon momento nei rapporti fra gli Stati uniti di George Bush e gli organismi delle Nazioni unite. Dopo la clamorosa esclusione, a scrutinio segreto, di giovedì scorso dalla Commissione Onu per i diritti umani, lo stesso giorno (ma la notizia si è diffusa solo più tardi) gli Usa sono stati esclusi, sempre con voto segreto, dall’Ufficio per il controllo internazionale dei narcotici.
Diritti umani e guerra alla droga, due dei cavalli di battaglia delle amministrazioni americane ma usati con doppi e tripli standard talmente sfacciati e con tale arroganza da provocare contraccolpi sempre più pesanti. Il dipartimento di Stato Usa, lunedì, ha definito “riprovevole” l’esito del voto e il suo portavoce, Richard Boucher, ha dovuto riconoscere che “qualcosa sta effettivamente succedendo”, anche se poi non è sceso in particolari, ma forse ha a che vedere “sul modo in cui noi ci siamo mossi e in cui abbiamo picchiato duro sui diritti umani”.
La seconda esclusione è venuta dal voto segreto dei 53 paesi membri dello stesso United Nations Economic and Social Council, l’organismo da cui dipende anche la Commissione sui diritti umani con sede a Ginevra. In quella i tre posti riservati agli europei – sui 14 che erano in palio – erano andati a Francia, Austria e Svezia, con gli Usa quarti e fuori; nell’International Narcotics Control Board la votazione per i tre posti europei ha visto la vittoria di Francia, Austria e Olanda, con gli Stati uniti di nuovo quarti e fuori. In questa tornata sono stati eletti anche Perù, India, Brasile e Iran (un altro smacco per Washington). L’Ufficio in questione è chiamato a monitorare in particolare tre trattati internazionali: uno del ’61 sul controllo dei narcotici, uno del ’71 sulle sostanze psicotrope e sintetiche, uno dell’88 sul narco-traffico e il rilavaggio di denaro sporco.
Che “qualcosa non vada” fra gli Usa e gli organismi internazionali non l’ha scoperto solo il portavoce Boucher. Tanto più che la doppia botta agli americani non viene solo dai paesi del cosiddetto Terzo mondo e dai paesi tradizionalmente bersaglio dei bollori americani – da soli, anche quelli di maggior peso e seguito come Cina e Cuba, non ce l’avrebbero mai fatta – ma, in tutta evidenza, sono gli europei ad essersi stancati dell’approccio troppo “militante”, spregiudicato, volatile, unilaterale delle amministrazioni americane (Bush ma anche l’iper-umanitario Clinton). Un approccio brandito come arma per obiettivi nazionali Usa di cui gli europei sono chiamati a pagare il conto, spesso in termini politici e da un certo tempo in qua anche economici. Gli Usa hanno accumultato arretrati con l’Onu, di cui restano il principale contribuente pur avendo diminuito la propria quota, per 1.7 miliardi di dollari. Il recente stanziamento di 600 milioni di dollari da parte del Congresso per coprire parzialmente il debito, è probabile che venga congelato dopo i due cartellini rossi ricevuti.
Due sono anche le motivazioni correnti per spiegare la duplice esclusione, in contraddizione fra loro. La prima parla della trascuratezza da parte della diplomazia Usa nelle operazioni di lobbying. Dovuta forse ad arroganza imperiale, alla certezza di avere un posto di prima fila sempre assicurato per diritto divino o ai vuoti sullo scacchiere diplomatico lasciati dall’amministrazione Clinton e non ancora riempiti dall’amministrazione Bush. Sono già passati un paio di mesi da quando fu annunciata la nomina del vecchio arnese del reaganismo John Negroponte quale nuovo ambasciatore Usa all’Onu, ma da allora la Casa bianca non ha ancora sottoposto il suo cnadidato al vaglio del Congresso. Ma c’è anche una seconda spiegazione che circola negli ambienti dell’Onu, opposta. Che il micidiale uno-due anti-Usa non sia dovuto alla mancanza bensì all’eccesso di lobbying – per posti e risoluzioni nonché per la riduzione del debito pregresso – da parte dell’ultimo ambasciatore clintoniano all’Onu, Richard Holbrooke.