L’Unione si allarga, e si spaurisce

Gran Bretagna e Irlanda chiudono le porte ai lavoratori bulgari e romeni, dopo averle aperte nel maggio 2004 a quelli degli otto paesi dell’est entrati nel club Ue con l’ultimo allargamento. Anche Berlino e Vienna sembrano intenzionate a seguire l’esempio di Londra e Dublino, mentre già Finlandia, Estonia e Slovacchia hanno annunciato che apriranno le frontiere e pure Slovenia e Polonia appaiono dello stesso avviso, anche se non hanno ancora notificato formalmente la decisione a Bruxelles. Gli altri, e tra loro l’Italia, per ora tacciono: hanno infatti tempo fino al 31 dicembre di quest’anno per decidere unilateralmente il da farsi, come prevede il Trattato di adesione tra i 25 e i due nuovi membri del club. I dispositivi di «adesione» perpetuano infatti un aspetto peculiare dell’apartheid europeo, qui dedicato non agli immigrati «extracomunitari», ma precisamente ai «nuovi» paesi (più poveri)che entrano: i loro abitanti diventano infatti «cittadini europei» ma se si muovono per l’Unione in quanto lavoratori restano nello statuto di «immigrati».
Oggi, di fronte a Bulgari e Rumeni le posizioni dei singoli Stati sono variegate, ma i No improvvisi di Gran Bretagna e Irlanda hanno un sapore più forte, quello del pentimento. Nel 2004, infatti, solo Londra, Dublino e Stoccolma aprirono le porte ai «lavoratori» degli otto paesi, mentre tutti gli altri le chiudevano per almeno due anni.
«L’immigrazione controllata è la soluzione – afferma adesso il ministro degli interni britannico John Reid – la Gran Bretagna continuerà a controllare l’accesso di rumeni e bulgari nel suo mercato del lavoro per un periodo transitorio. L’apertura dipenderà dalle esigenze del nostro mercato del lavoro». Reid annuncia «porte aperte» solo per un numero ristretto di lavoratori non qualificati provenienti dai due nuovi Stati membri.
Più duro Michael Martin, ministro irlandese all’industria, commercio e lavoro che annuncia una chiusura totale: «Il numero di lavoratori stranieri è incredibile, è l’ondata migratoria più rapida conosciuta dal nostro paese. Settori come l’educazione, l’abitazione, la circolazione o i servizi sanitari si sono ritrovati sotto pressione, e il nostro compito è adesso integrarli». Integrare, lasciando fuori gli altri.
La cosa non fa per nulla piacere agli esclusi, che si sentono i più discriminati tra i discriminati. «La decisione è una prerogativa degli Stati – afferma Dimitar Tsanchev – ma consideriamo che queste restrizioni nuocciono ai diritti dei lavoratori bulgari, come non è avvenuto nel 2004 per gli altri paesi che hanno aderito alla Ue». «Queste decisioni – gli fa eco il primo ministro rumeno Calin Tariceanu – gettano dei dubbi sull’Unione europea».
Tra i nuovi entranti, è la Romania il paese che preoccupa di più i governi e le piazze degli Stati membri soprattutto per via della popolazione, 22 milioni contro i 7 e mezzo di bulgari, mentre quanto a reddito pro capite la Romania con il 34,7% della media Ue sta un po’ meglio della Bulgaria, ferma al 32,1%. Anche le statistiche sulla disoccupazione premiano Bucarest: al 7,9% contro il 10,1% registrato l’anno scorso a Sofia. Ma a complicare le cose per Bucarest c’è un altro elemento: il grande numero di moldavi che stanno in questi giorni chiedendo il passaporto rumeno. Una nuova legge emanata recentemente dalla Romania facilita l’ottenimento del doppio passaporto e già 400.000 moldavi sono in fila per ottenere un documento che dal primo gennaio diventerà di colpo assai più prezioso. La cosa ha “sorpreso” non poco il ministro degli esteri rumeno Mihai Razvan Ungureanu, visto che nel censimento del 2004 solo 70.000 moldavi si erano dichiarati rumeni. Ora sono di colpo lievitati, e tanti si danno da fare per trovare un avo rumeno, per mettere un piede nell’Europa che conta: la stessa che non ha molta voglia di vedere loro, né gli altri rumeni né i bulgari circolare liberamente alla ricerca di un lavoro. Il tutto mentre Bruxelles ha consacrato questo 2006 alla mobilità dei lavoratori.