L’Unione e la trappola dell’età pensionabile

Uno dei principali elementi di scontro sulla legge finanziaria è l’ipotesi di innalzamento dell’età per il diritto alla pensione. Si vive più a lungo, quindi perché non dovrebbe aumentare l’età per il diritto alla pensione? E’ un argomento semplice quasi ovvio, di buon senso. Ma veramente l’aumento della vita media è uguale per tutti e tutte? E’ identico per ogni tipologia di lavoro? Penso proprio di no. E non solo per gli occupati nei lavori manovali ma anche in tanti altri considerati forse più leggeri o riposanti. Trentacinque o 40 anni di lavoro per pensionarsi di anzianità vi sembrano pochi? Prima di alzare l’età per la pensione proviamo a ragionare sulla condizione psicofisica di chi lavora. Negli ultimi 15 anni l’età per il diritto alla pensione di vecchiaia è passata da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 anni per le donne. La speranza di vita invece è passata per le donne da 80 anni e sei mesi a 83 anni ed un mese, cioè è cresciuta solo di due anni e sette mesi; per gli uomini da 74 anni ed un mese a 77 e tre mesi, cioè tre anni e due mesi in più. All’aumento della speranza di vita concorrono più fattori tra cui la sanità e la sicurezza che da anziani non si dovrà stare a ricasco dei figli o dell’assistenza pubblica. Con il crollo del sistema sovietico (1989) franò in Urss anche il sistema sanitario e l’insieme dello stato sociale: la speranza di vita regredì di ben sei anni.
La proposta di legge finanziaria prevede il reperimento di 30 miliardi per rispondere positivamente alla comunità europea e per contare su risorse che accelerino la ripresa economica. Di questi una parte andrebbe coperta dal sistema pensionistico. A proposito di risorse sarebbe bene che ci si ponesse una qualche domanda. Mandare in pensione (sistema contributivo-precariato) con una pensione più povera non costringerà lo stato a spendere molto di più in assistenza? Milioni di poveri in più quanto costeranno? Delegare il recupero della minor copertura della pensione pubblica alla previdenza integrativa non è anch’esso un onere per le persone che potranno permetterselo e per gli altri, se diventerà obbligatoria una decurtazione del salario? Inoltre se si sommano gli oneri per gli incentivi fiscali a carico dello stato a quanto ammonta la spesa? Si afferma che la pensione incide troppo sul Pil, ma lo fanno anche la pensione integrativa ed il Tfr che anzi è considerato pensione. I conti dell’Inps sono in equilibrio e complessivamente il costo vero delle pensioni per lo Stato è meno dell’1% del Pil se nel rapporto con le pensioni non vengono ignorati i contributi versati.

E’ lodevole l’impegno del governo per combattere la scandalosa evasione fiscale ma è bene ricordare che altrettanta scandalosa è l’evasione contributiva che si configura tra l’altro come furto a danno dei dipendenti. Questa evasione (stime Inps) viaggia oltre i 25 miliardi di euro all’anno pari quasi all’importo della legge finanziaria in discussione. Le ispezioni, in media una ogni 125 anni per azienda, hanno certificato che il 70% delle aziende evade in parte od in toto. Basterebbe recuperare il 20% dell’evasione e si coprirebbe abbondantemente quanto dovrebbe “fruttare” l’innalzamento dell’età pensionabile.

Invece, e non è demagogia, occorre assolutamente aumentare le pensioni e gli assegni sotto i 500 euro mensili, liquidare lo scalone, attivare un sistema di rivalutazione delle pensioni che copra realmente l’aumento del costo della vita che le sta pesantemente logorando: sono tra l’altro misure previste nel programma dell’Unione. I continui attacchi ai diritti pensionistici di chi lavora o si appresta a farlo costringono i pensionati anche con pensioni di fame a non protestare e a considerarsi baciati dalla fortuna rispetto ai loro figli, creano sfiducia e spingono i lavoratori attivi ad altri sacrifici per garantirsi la vecchiaia con grande giubilo dei mercati finanziari.

Non si può rimanere intrappolati sulla speranza di vita. Non si può continuare con l’emergenza pensioni. Non si può ad ogni difficoltà del bilancio dello stato intervenire sulle pensioni, la sanità, la scuola. Alzare il tiro significa aprire nel paese con i partiti, i sindacati, le organizzazioni sociali, il mondo della cultura un dibattito su quale stato sociale costruire che sia valido per il secolo appena iniziato; quale stato sociale per le generazioni che stanno entrando nel mondo del lavoro; quali diritti di cittadinanza per tutti e tutte. Invece di intrappolarci sulla speranza di vita e l’età per la pensione, l’Unione dovrebbe tentare un colpo d’ala e provare a disegnare uno stato sociale valido per un lungo periodo con regole e diritti certi e in quell’ambito certamente va discusso sia di rendimenti sia di età per la pensione.