La situazione è eccellente. E’ rimasto solo lui al centro della scena, lui e i suoi due senatori che sono giusto i voti indispensabili per la sopravvivenza del governo. Parlerà oggi, o persino domani: all’ultimo momento utile. E dirà di sì. Lamberto Dini alzerà il pollice in favore della legge finanziaria, per questa volta. Ma quasi a perpetrare il sortilegio che fa di lui, il rospo, il principe della Repubblica rimanderà ancora l’ultima chiamata. Lascerà sospeso l’estremo giudizio: la finanziaria dovrà tornare in senato e comunque da ora in avanti i Liberaldemocratici, cioè lui e i suoi due, non voteranno più con il centrosinistra. Un sì che vuol dire un no per Prodi che può star sicuro di non avere più la maggioranza al senato. E’ un no che allude a un sì per Berlusconi che fino all’ultimo ha cercato di convincerlo alla rottura immediata e deve invece accontentarsi di una promessa, ma una promessa di Lamberto Dini.
Il bipolarismo, scriveranno gli storici, in Italia è quel sistema per cui la maggioranza che ha vinto le elezioni governa fino a che Lamberto Dini non decide di passare con l’opposizione. Andò così quando da ministro del tesoro per il centrodestra Lambertow si trasformò nel presidente del Consiglio del centrosinistra. E allora come oggi fu tutta una questione di fiducia a termine. Il discorso che ci si aspetta che farà oggi Dini non sarà troppo diverso, paradosso della storia, da quello che da presidente del Consiglio fu lui a dover subire quando era a palazzo Chigi e Rifondazione che proprio non voleva baciare il rospo disse di sì, ma a condizione che il rospo si dimettesse in un paio di mesi. Il tempo di fare la legge finanziaria, il tempo stesso che Dini concederà a Romano Prodi adesso.
E Prodi? Non farà una piega. Con Dini ha parlato chiaro: se il governo regge dovrà comunque passare attraverso un rimpasto e il professore saprà come ricompensare il senatore. L’offerta, addirittura della vice presidenza del Consiglio, non sembra sufficiente. E questa trovata dell’annuncio di sfiducia Prodi deve considerarla una pugnalata alle spalle. Dunque non sarà per questo che drammatizzerà la situazione. Certo il presidente del Consiglio non salirà al Quirinale per comunicare di non avere più una maggioranza, come pure il centrodestra si appresta a chiedere. Se il governo ha o non ha i voti bisogna vederlo in aula, ragiona il professore, è fuori dal mondo anticipare una crisi sulla base di semplici dichiarazioni.
Anche perché la grana delle regolarizzazioni nella pubblica amministrazione Prodi la considera brillantemente risolta. Accolto l’emendamento di Natale D’Amico, che nel microcosmo del drappello liberaldemocratico gioca la parte di quello che guarda a sinistra, Dini e i suoi hanno poco da dissentire dalla finanziaria. I problemi torneranno con pacchetto welfare perché resta la contrarietà di Lambertow alla cancellazione del tetto sui lavoratori usuranti: non dovrà in nessun caso comportare un aumento di spesa e sarà difficile.
Ma si vedrà. Ad oggi le «mani libere» di Lamberto Dini, e con lui dei senatori Giuseppe Scalerà e Natale D’Amico secondo l’interpretazione che ne farà Prodi sono una rispettabile posizione politica e nulla più. Anzi, nell’Unione si invita a diffidare della propaganda berlusconiana: è considerata una buona base di partenza il fatto che i senatori liberaldemocratici non annuncino “in tutto e per tutto il loro passaggio all’opposizione. Nonostante i plateali cenni di assenso che Dini ha preso a fare verso gli interventi dei senatori del centrodestra nonostante il suo scambiarsi messaggi e chiacchiere con i rappresentanti di Forza Italia, il tutto fatto stando seduto sui banchi del governo così che nell’aula del senato diventi impossibile non notarlo. Tattiche.
E forse davvero niente di più visto che anche Silvio Berlusconi, nonostante una lunga serie di telefonate con Dini, alla fine è costretto à rimandare l’ora della verità. «Non è detto che il governo cadrà necessariamente domani o in questi giorni, ma certo non possono durare a lungo», dice il cavaliere. In fondo anche lui costretto ad aspettare le decisioni del rospo.