L’incontro «chiarificatore» su Enduring Freedom tra il ministro Parisi e i capigruppo alla camera di Verdi e Rifondazione è previsto per stamattina prima del consiglio dei ministri. Il clima della vigilia è positivo, anche se Parisi mette i puntini sulle i: «L’Italia – conferma in serata – continuerà a impegnarsi per un paese amico come l’Afghanistan, che chiede il nostro sostegno e che necessita della presenza internazionale per uscire dal buio di una storia di terrorismo e di violenza». Massima disponibilità dunque ma anche decisa fermezza. Mentre l’intervista con cui il vicepremier Massimo D’Alema parla di un disegno di legge «che è davvero una svolta» per cui se non fosse approvato dalle forze della maggioranza sarebbe «un problema politico enorme» non ha intorbidito più di tanto le acque pacifiste.
Il nodo politico della missione però resta intatto. Negli ultimi 4 anni l’Ulivo ha sempre votato a favore dell’Afghanistan mentre Verdi, Pdci, Prc e sinistra Ds sempre contro. Il governo risponde ai malumori dell’ala sinistra dell’Unione affermando che il raddoppio dei fondi a «Enduring Freedom» è dovuto a impegni già presi dall’esecutivo precedente, per cui l’Italia avrà il comando fino a dicembre della «Task Force 152» che opera nel golfo Persico. La «svolta» sull’Afghanistan potrebbe essere così offerta solo dalla mozione che accompagnerà la discussione del disegno di legge. Mozione in cui c’è qualche timida disponibilità da parte dei vertici dell’Ulivo a inserire una clausola di «exit strategy» in accordo con gli organismi internazionali e gli alleati Nato.
Ieri intanto è finalmente arrivato in commissione Difesa a Montecitorio il provvedimento sulle missioni varato dal governo. E si è anche chiarito una volta per tutte che le navi italiane coinvolte in Enduring Freedom nell’Oceano Indiano sono due (la nave comando Etna e il pattugliatore C.te Foscari) e non tre: la fregata Euro, infatti, rientrerà stamattina nella base di Taranto.
In parlamento intanto si lavora agli emendamenti. E’ probabile che siano in molti a presentarne uno di soppressione pura e semplice di Enduring Freedom. Lo hanno annunciato esplicitamente i cosiddetti sette «senatori dissidenti» – Bulgarelli, (Verdi), Tibaldi e Rossi (Pdci), Grassi, Giannini, Malabarba e Turigliatto (Prc)) – e tre deputati sempre di Rifondazione (Cannavò, Burgio e Pegolo) dopo una prima riunione di «coordinamento». I «dieci» presenteranno anche un emendamento che introduca già nel ddl la tanto agognata «exit strategy» da Kabul. Mentre Jacopo Venier annuncia che il Pdci presenterà due modifiche: una per il rientro immediato da Enduring freedom e un’altra per la riduzione «di almeno il 10% della missione Isaf come gesto simbolico nella prospettiva di una exit strategy». Nella guerriglia parlamentare, infine, anche la maggioranza di Rifondazione annuncia che presenterà emendamenti contro Enduring Freedom. «E’ chiaro che non resteremo lì per dieci anni – sottolinea Elettra Deiana – e che la guerra in Afghanistan va rifiutata. Anche se siamo di fronte a scelte del precedente governo mi auguro che Parisi comprenda la portata politica delle questioni che abbiamo posto. Il dibattito è aperto e discuteremo seriamente per mettere in agenda l’uscita anche da Kabul».
Il vero nodo politico da sciogliere, però, lo indica la Cdl, che da settimane descrive un centrosinistra che inevitabilmente si dividerà alla prima prova sulla politica estera. Un risultato che aprirebbe la strada a un coinvolgimento delle forze meno «impresentabili» del centrodestra (come Follini e Tabacci) in tutte le politiche dell’esecutivo. Il Dpef e le nuove liberalizzazioni annunciate da Bersani (per esempio sull’energia) potrebbero far impallidire gli scambi di fioretto scambiati fin qui su Kabul e Herat.