L’ultima carta di Abu Mazen

Palestinesi spaccati, caos a Gaza, tensione in Cisgiordania. Sono questi gli effetti dell’annuncio fatto ieri dal presidente Abu Mazen di voler riportare, nel giro di qualche mese, i palestinesi alle urne per elezioni parlamentari e presidenziali anticipate. Hamas, al governo nei Territori, ha reagito con rabbia al discorso pronunciato dal presidente alla Muqata di Ramallah, davanti ad una platea di ex ministri e dirigenti di Al-Fatah che dovrebbero stare in pensione da un pezzo e che invece attendono con ansia di tornare al potere. Migliaia di persone ieri sera sono scese in strada a Gaza e scontri tra sostenitori di Hamas e di al Fatah, il partito del presidente, sono scoppiati a Gaza City, a Khan Yunis e a Rafah. Almeno 18 persone sono rimaste ferite. A Gaza city è scoppiata una sparatoria nei pressi della casa di Mohammed Dahlan, l’uomo forte di Fatah, accusato da Hamas di aver organizzato un agguato giovedì scorso al valico di Rafah al premier Haniyeh.
Abu Mazen ieri ha descritto un quadro grigio della situazione palestinese. Ha addossato solo ad Hamas la responsabilità dell’isolamento che strangola i Territori occupati. Ha fatto rari accenni all’assedio israeliano e non ha condannato la decisione di Stati Uniti ed Europa di tagliare subito gli aiuti alla sua gente senza dare una sola possibilità al movimento islamico di governare. Al termine di un’ora e mezzo di resoconti e accuse, Abu Mazen ha fatto il suo annuncio. «La legge fondamentale stabilisce che il popolo è la fonte dei poteri. Lasciamo che sia il popolo a pronunciarsi e a fare da arbitro», ha detto ribadendo il suo diritto a sciogliere il governo.
«Consulterò al più presto la commissione elettorale per decidere le procedure e fissare la data del voto» (che, per ragioni organizzative, non potrà tenersi prima di 5-6 mesi). Ha però lasciato aperta la porta ad altre trattative, perché non ha scartato la possibilità di dare vita a un governo di unità nazionale. In ogni caso, ha detto, al Fatah, non ha intenzione di condividere il potere con Hamas.
È un vero ultimatum o l’ennesima minaccia? «Indire nuove elezioni è facile a dirsi ma difficile da realizzare – ha commentato l’analista Marwan Bishara -. Hamas ritiene di avere il pieno diritto di governare e farà di tutto per ostacolare il progetto del presidente e di Al-Fatah di riportare i palestinesi alle urne con tre anni d’anticipo». D’altronde lo Statuto dell’Anp non è chiaro su punti centrali e Hamas non esiterà a sfruttare ogni aspetto giuridico della questione pur di far valere le sue ragioni.
Lo Statuto pone il presidente al vertice, lo dota di poteri esecutivi e gli conferisce la facoltà di nominare e di dimettere il primo ministro. Non precisa però in quali condizioni il parlamento, dominato per 2/3 da Hamas, possa essere sciolto anticipatamente e non prevede l’istituzione del referendum, cui Abu Mazen già l’anno scorso avrebbe voluto fare ricorso suscitando le proteste del movimento islamico. Abu Mazen ieri ha fatto un salto nel buio perché non ha spiegato ai palestinesi per quali ragioni dovrebbero andare alle urne dopo appena un anno e votare per Al-Fatah. Il fatto che Hamas non riesca a governare, a causa del boicottaggio politico ed economico in atto, non è agli occhi della popolazione una colpa da attribuire ai dirigenti islamici, piuttosto è un’ulteriore manifestazione della politica dei «due pesi e due misure» della Comunità internazionale, pronta a schierarsi in difesa d’Israele e balbettante quando in gioco ci sono i diritti dei palestinesi.
Il presidente non ha nulla in mano da offrire alla sua gente: nessuna assicurazione americana ed europea di una accelerazione verso la costituzione di uno Stato palestinese, nessuna garanzia che Israele tornerà al tavolo delle trattative dopo l’eventuale cambio della guardia in casa palestinese. È dal 2000 che i negoziati sono fermi e dal 2002 che Israele porta avanti il suo piano unilaterale. Il fatto che prima di Hamas al potere ci fosse proprio il «moderato» Abu Mazen, non era servito a persuadere Israele a rilanciare i colloqui. Non è sicuro peraltro che Al-Fatah riconquisti la maggioranza del parlamento. Il partito di Abu Mazen non ha avviato quel processo di rinnovamento interno richiesto dalla base e lo stesso Abu Mazen non può dirsi favorito nella corsa alla presidenza.
Il mondo intanto applaude all’annuncio di ieri. Israele ha espresso appoggio ai «leader moderati palestinesi», il premier britannico Tony Blair (che domani sarà a Ramallah) ha chiesto di sostenere Abu Mazen. Gli Stati Uniti hanno dato il benvenuto alla decisione del presidente auspicando che la sua mossa (davvero non si capisce in che modo) possa porre fine alle violenze interpalestinesi.