La vita di Luigi Longo – come scrisse Enrico Berlinguer – di fatto “si identifica” con quella del suo partito, dal Congresso di Livorno al 1980. Ma se di Longo è ben noto il ruolo di capo delle Brigate internazionali in Spagna, e poi di mente politica e organizzativa della Resistenza, meno riconosciuta è l’importanza della sua segreteria nella storia del PCI; una segreteria che va dalla morte di Togliatti all’inizio del ’72, anche se dal febbraio ’69, dopo che Longo mesi prima è stato colpito da un ictus, è affiancato da Berlinguer come vicesegretario.
Molti dirigenti del PCI lo ricordano come un segretario profondamente democratico, amante della direzione collegiale e capace di cambiare idea. Il suo primo atto da nuovo leader, la decisione di pubblicare il Promemoria di Yalta, è già un forte elemento di novità e una rivendicazione di autonomia, che si rinnova di lì a poco, in occasione della destituzione di Chrušcëv, su cui il PCI esprime ampie riserve. Come ha scritto Renato Zangheri, l’attitudine di Longo alla direzione collegiale va collocata nella sua più generale concezione della democrazia, intesa come una delle linea guida su cui trasformare il Paese: la prospettiva, sua e del PCI, è infatti quella di una democrazia organizzata, basata sui partiti di massa, la centralità del Parlamento, le autonomie locali, l’intreccio tra istituzioni rappresentative ed elementi di democrazia diretta, di controllo e gestione da parte dei lavoratori organizzati di gangli vitali della società quali la previdenza, il collocamento, il servizio sanitario, l’industria pubblica. A ciò si lega l’idea di una programmazione democratica dell’economia, per la quale lo Stato usi tutte le leve a sua disposizione (impresa pubblica, PP.SS., fisco ecc.), incidendo anche sugli orientamenti del capitale privato; l’obiettivo è una economia mista, in cui la stessa iniziativa privata si svolga in un quadro di sviluppo delineato democraticamente – frutto dell’elaborazione del Parlamento, ma anche di comitati regionali per la programmazione, sindacati, comitati di lavoratori, enti locali – e diretto a fini sociali. È una strategia di democratizzazione avanzata dello Stato e della società, le cui radici sono in Gramsci, in Togliatti e nella stessa Costituzione, e che negli anni ’60-70 si collega all’evoluzione del Paese. Con Longo segretario, dunque, il tema della via italiana al socialismo assume connotati più concreti.
Sul piano interno, Longo dà un’impronta nuova al ruolo di segretario, ponendosi come primus inter pares e svolgendo un ruolo di sintesi fra le diverse letture della “via italiana”, polarizzate attorno ad Amendola e Ingrao. Longo cerca di valorizzare gli elementi più vitali delle proposte dei due dirigenti (l’unità del movimento operaio su cui insiste Amendola, l’elaborazione ingraiana su nuova unità dal basso e modello di sviluppo), incoraggiando il dibattito, anche aspro, che si apre, ma al tempo stesso pretendendo che esso “si svolga su una base unitaria” e approdi a una sintesi condivisa.
Con Longo segretario, il PCI, pur dall’opposizione, riesce ad avere anche un ruolo di governo, “tallonando” il centro-sinistra sui suoi impegni di riforma, sviluppando l’elaborazione programmatica, e affiancando all’azione parlamentare un’iniziativa di massa che ne costituisce il solido retroterra ed estende il radicamento del partito. In questo modo il PCI – anche grazie alla spinta di massa del 1966-69 – contribuisce ad alcuni dei maggiori obiettivi conseguiti in quegli anni, dalla “giusta causa”, primo tassello dello Statuto dei lavoratori, all’istituzione delle Regioni e del referendum, dall’equo canone al divorzio, realizzando il felice paradosso di un partito che, stando fuori dal governo, riesce a incidere su scelte rilevanti, e che, mirando a una radicale trasformazione della società, favorisce importanti riforme.
Longo dunque sviluppa quella “opposizione di tipo particolare” al centro-sinistra avviata da Togliatti; la sua strategia è in continuità con quella del Migliore. E tuttavia, come ha scritto Adriano Guerra, Longo è anche “l’‘uomo delle svolte’”: si veda il dialogo col movimento studentesco, che egli considera un alleato naturale e verso il quale chiede al Partito di superare ogni diffidenza, e il lungo e franco colloquio a Botteghe Oscure con alcuni esponenti del movimento, visto come parte integrante della “battaglia anticapitalistica”; ancora, la ripresa del rapporto unitario con l’area di Parri, il dialogo con la sinistra cattolica e l’“invenzione” degli indipendenti di sinistra; il sostegno espresso, anche con un viaggio a Praga, al nuovo corso di Dubcek, in cui egli vede un incoraggiamento per la stessa “via italiana”; e infine la condanna dell’intervento sovietico in Cecoslovacchia e la ridefinizione del rapporto col PCUS. D’altra parte, nell’affermare il “principio irrinunciabile della autonomia” di ogni Stato e di ogni partito comunista, egli aggiunge che va rilanciata la lotta contro “la politica dei blocchi”, cui riconduce “in larga misura” gli stessi problemi dei paesi socialisti.
Longo dunque impegna il PCI nella lotta per il superamento dei blocchi e nel tentativo di trasformare la stessa Europa del MEC, dialogando coi partiti comunisti ma anche con le forze socialdemocratiche più avanzate. La Conferenza di Karlovy Vary dei PC europei, in cui egli stesso tiene il discorso conclusivo, conferma questa linea, e ad essa segue l’avvio del dialogo tra il PCI e la SPD di Brandt. Ma il nuovo internazionalismo di Longo passa anche per un rapporto sempre più esteso coi movimenti di liberazione e per un sostegno alla lotta del popolo vietnamita che non viene mai meno.
Dopo l’Autunno caldo, mentre nel Partito il dibattito si riaccende con la vicenda del Manifesto, la questione comunista comincia ormai a porsi anche a livello di governo; diventa chiaro cioè che l’esclusione di una forza come il PCI non è più sostenibile, sia sul piano degli equilibri democratici, sia ai fini di una vera politica di riforme. Un periodo iniziato con la più rigida conventio ad excludendum termina quindi con l’aprirsi di nuove prospettive: è un risultato importante, che Longo consegna al PCI di Berlinguer. Tuttavia, rispetto al compromesso storico e poi alla solidarietà nazionale, Longo avrà una posizione critica, cogliendo i rischi di quella complessa operazione politica, soprattutto nei termini di un allentarsi del legame di massa del partito; una questione ancora aperta, che certo meriterà ulteriori approfondimenti.
* Membro del consiglio direttivo Associazione Marx XXI
* Borsista della Fondazione Luigi Longo. È imminente, per le edizioni ESI di Napoli (nella collana dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia), l’uscita di un suo libro dal titolo Il PCI di Luigi Longo (1964-1968), con la prefazione di Francesco Barbagallo.