L’Ue «rinnova» le sue energie

L’Europa alla testa della lotta al cambiamento climatico, questo è lo slogan che i 27 recitano in coro al termine dell’accordo sul pacchetto energia e ambiente. Lo slogan è vero, l’Ue è sola al comando, lo è per quanto accordato a Bruxelles, ma soprattutto per demerito degli altri campioni dell’inquinamento, Cina, India e soprattutto Stati uniti. «Sono molto soddisfatta – dice una solare Angela Merkel – perché siamo arrivati a un accordo su obiettivi ambiziosi e credibili. Così potremo evitare quella che potrebbe diventare una calamità umana». Ieri la Ue ha deciso di fare un passo in tre direzione: diminuzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra (dal valore del 1990, ora siamo all’8%), riduzione sempre di un quinto dei consumi energetici e obbligo di ricavare il 20% dell’energia consumata da fonti rinnovabili (siamo al 7% di media, l’Italia è al 5,8%). Il tutto da qui al 2020 e con obiettivi vincolanti, ossia obbligatori. Ma sulle rinnovabili si spande l’ombra lunga del nucleare e del carbone pulito. Per carità, non sono omologabili a solare, eolica, idraulica e biomasse, dicono sia Merkel che Prodi, ma da ieri vengono considerati come energie a bassa produzione di anidride carbonica e pertanto praticamente «pulite».
I 27 «prendono atto – recita infatti il testo delle conclusioni – del contributo dell’energia nucleare nel far fronte alle crescenti preoccupazioni concernenti la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e nella necessità di ridurre le emissioni di Co2». Oltre a ciò i capi di stato e di governo si impegnano a proporre «un’ampia discussione sulle opportunità e sui rischi dell’energia nucleare». Uno sdoganamento in piena regola, come richiesto con «vigore» da Chirac. D’altronde Francia e Slovacchia bloccavano da giovedì l’intesa e lo stesso facevano Polonia e Repubblica Ceca per il carbone. L’accordo si è trovato quindi inserendo l’atomo e la tecnologia (ancora molto da sviluppare) del Carbon capture and storage per catturare e immagazzinare sotto terra la Co2 prodotta dalla combustione del minerale, ma non solo.
I 27 fissano obiettivi generali e collettivi: il 20% di rinnovabili vale infatti per tutti gli Stati membri messi assieme, poi qualcuno farà di più e qualcun altro di meno all’interno di una strategia flessibile che verrà definita dalla Commissione con il beneplacito di ogni paese. Di fisso c’è solo l’impegno per tutti a raggiungere una quota di consumo del 10% per i biocarburanti nei trasporti, sempre entro il 2010. Per il resto i negoziati chiusi ieri daranno vita ad altri negoziati per definire cosa dovrà fare ogni singolo Stato membro. Barroso ha assicurato che presenterà le sue proposte in autunno, poi via di nuovo ai giri di tavolo, con il rischio di decaffeinare i contenuti. Già l’Unice, la Confindustria europea, ha messo le mani avanti sottolineando i costi, anche in termini di competitività, di una politica troppo amica con l’ambiente. Dall’altro lato il Wwf teme proprio che sotto queste pressioni l’accordo «diventi aria fritta». Intanto l’associazione ambientalista saluta «l’Europa finalmente unita contro i cambiamenti climatici».
In questo panorama ancora molto da definire, Prodi promette di non voler perdere tempo: «Oggi inizia la preparazione dell’Italia, riunirò quanto prima una task force formata dai ministri competenti, in modo da lanciare un piano di emergenza». «Siamo indietro – ammette il premier – abbiamo perso posizioni sul solare e sull’eolico, dobbiamo riorganizzare l’intero sistema energetico: per l’Italia si apre una grande sfida di ricerca, sperimentazione e innovazione». «Una nuova politica – assicura comunque Prodi – che non si basi tanto sul nucleare quanto su nuove fonti». Più prosaicamente il governo ha chiesto alla Commissione di incrementare gli investimenti in ricerca (siamo fanalino di coda) e di tener conto della necessità di creare un sistema di aiuti di Stato armonizzato a supporto delle nuove tecnologie. Roma, al pari di Madrid, ha invece incassato una sostanziale comprensione per le imprese energivore, come i produttori di acciaio e cemento.
Chiuso il vertice, ora per la Germania si apre la pagina della politica internazionale. Angela Merkel dovrà cercare di convincere anche Washington, Pechino e Nuova Delhi a salire sul treno di Kyoto. Dalla sua ha il doppio ruolo di Presidente della Ue e del G8, ma anche così non sarà per nulla facile far proseliti su questo terreno.
Inoltre l’Europa si presenta ai negoziati per la seconda fase di Kyoto, quella dal 2012 al 2020, con una strategia negoziale quanto meno curiosa: ieri ha deciso di tagliare le emissioni del 20% ma si dice disposta ad arrivare al 30% (la quota considerata necessaria dagli scienziati per contrastare efficacemente l’effetto serra) se anche gli altri si associano al Protocollo. È difficile ottenere molto offrendo poco.