Luce e gas, rincari «previsti» per ottobre

Per ora si tratta solo di stime. Ma provenendo da Nomisma – istituto di ricerca bolognese fondato tra gli altri da Romano Prodi – si tratta di una previsione che ha il valore di un annuncio. Le tariffe di gas e luce, dal primo ottobre, riprenderanno a salire. Di poco quelle elettriche – +1,6%, da 15,53 a 15,79 centesimi al chilowatt – mentre quelle del metano dovrebbero crescere del 2,3% (da 65,68 a 67,25 centesimi al metro cubo). In complesso viene stimato un esborso medio supplementare di 7 euro nel caso della luce e di 22 per quello del gas.
La ragione è sotto gli occhi di tutti. Nonostante le ripetute e rassicuranti previsioni di politici, imprenditori ed (alcuni) esperti del settore, il petrolio è da mesi stabilmente sopra i 70 dollari al barile. Ma giovedì ha superato per qualche ora gli 83. E’ vero che la moneta statunitense – la «misura» del prezzo di tutti i prodotti energetici sulle piazze internazionali – ha perso un po’ di valore nello stesso periodo di tempo, ma si tratta di un calo che non compensa affatto la rivalutazione di greggio e derivati.
Il responsabile di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, snocciolava ieri le cifre del rapporto, ma senza ovviamente poter fare alcuna ipotesi sul possibile «ritorno alla normalità». Il presidente dell’authority per l’energia, Alessandro Ortis, si è mostrato giustamente preoccupato soprattutto per le bollette della luce. La produzione italiana di energia elettrica, infatti, risente non solo della strutturale carenza di risorse energetiche sul nostro territorio, ma anche di un mix di generazione particolarmente svantaggioso: quasi soltanto petrolio e gas. Un gap che le lobbies del carbone e del nucleare provano ad utilizzare per riproporre – con qualche successo mediatico-politico – le proprie pericolose soluzioni. Del resto, è noto che l’Italia sfrutta l’energia solare in misura ridicola (40 megawatt), mentre la grigia e sfortunata Germania ne produce più di 1.600.
Considerazioni ambientali a parte, l’aumento delle tariffe – ferme da quasi un anno – ha effetti inflazionistici che vanno ben al di là del semplice aumento della bolletta. Tutti i costi energetici, infatti, entrano nella formazione del prezzo di tutte le altre merci. In parole povere, ogni impresa subirà un analogo aumento delle tariffe nella sua produzione quotidiana ma – al contrario delle famiglie – potrà scaricare questi maggiori costi sul prezzo finale delle merci prodotte. Anche il costo del lavoro entra nella formazione di tutti i prezzi; ma quello – come ci spiegano gli economisti liberisti – va compresso più che si può.
La Coldiretti si è fatta viva ieri per caldeggiare un uso maggiore delle biomasse. Il termine copre un vasto ventaglio di prodotti, dal biodiesel ai pellets di legno. Questi ultimi sono utilizzabili però solo in abitazioni di tipo non metropolitano (là dove si possono usare stufe di ghisa al posto del riscaldamento centralizzato e a gas); mentre l’etanolo come carburante nei trasporti ha già ora il pesante difetto di far aumentare il prezzo del grano – +30% in un anno – e, quindi, di tutti gli altri prodotti alimentari (dal formaggio alla carne). E se i pellets si possono ottenere dai residui della lavorazione del legno – almeno fin quando la domanda resta limitata – nel caso dell’etanolo si è aperta già ora, in alcuni paesi emergenti, una pericolosa e demenziale «concorrenza» tra coltivazioni «da cibo» e «da combustibile». Ma è noto che le terre emerse hanno una superficie data, e anche piuttosto «minoritaria». Si parla perciò di rincaro delle bollette, ma il problema energetico ha dimensioni – e gravità – decisamente più ampie.