L’oro del Guatemala, che uccide i maya

Il Marlin project sta aprendo una nuova ferita in un paese già stremato
Con l’appoggio di potenti istituzioni internazionali, il governo ha dato concessioni minerarie a una società canadese, che devasterà il territorio avvelenando l’ambiente. Nessuna informazione agli abitanti, mentre ogni opposizione viene stroncata con violenza

Raul Castro aveva 37 anni e, insieme a migliaia di contadini dei dipartimenti del Quiché e di Sololá, in Guatemala, partecipava al gigantesco blocco stradale di Los Encuentros, che impediva il passaggio di un cilindro, un grande tubo d’acciaio utilizzato per le estrazioni minerarie di proprietà della Montana Exploradora S.A. L’impresa, filiale guatemalteca della canadese Glamis Gold, sta «aprendo» una miniera d’oro, il Marlin project, nel dipartimento di San Marcos. Il 9 gennaio scorso, all’alba del quarantesimo giorno di blocco, il governo annunciò l’intervento dell’esercito: «Non c’è più niente da discutere. Abbiamo già dialogato con le autorità e non possiamo continuare a permettere che ognuno faccia ciò che vuole», affermò il ministro Carlos Vielman intervistato dall’Associated Press. Due giorni dopo Raul Castro era morto a Los Encuentros, negli scontri tra militari e manifestanti. Due mesi più tardi, domenica 13 marzo, Alvaro Benigno, 23 anni, stava tornando a casa dopo un concerto della Corale di San Miguel Ixtahuacan, nel dipartimento di San Marcos. Sul suo cammino, però, ha incontrato Ludwin Waldemar Calderon e Guillermo Lanuza, pistoleri al soldo del «Grupo Golan», incaricato della sicurezza del Marlin project. I due lo hanno bloccato e ucciso con cinque o sei colpi di pistola in varie parti del corpo. La morte di Alvaro Benigno, che lascia una moglie ed una figlioletta di tre anni, è un avvertimento alla popolazione di San Miguel, rivolto a tutti coloro che si stanno organizzando per lottare contro la realizzazione del progetto.

Prima gli investitori

Mentre l’opposizione contro le attività minerarie cresce in tutto il paese, coordinata dal «Frente Nacional Contra la Mineria» e dalla chiesa cattolica, il presidente guatemalteco Oscar Berger si giustifica: «Dobbiamo difendere gli interessi degli investitori». Quando questi si chiamano Banca mondiale, che partecipa al progetto con un prestito di 35 milioni di dollari a Glamis Gold e un investimento diretto di 10 milioni da parte della International Financial Corporation (Ifc), è difficile pensare di difendere gli interessi economici di uno stato sovrano, e ancor meno è consentito a qualsivoglia governo – se anche lo volesse – di agire nell’esclusivo interesse dei propri cittadini. Il sostegno da parte della Banca mondiale rappresenta per Glamis Gold una sorta di lasciapassare, «con l’obiettivo di mitigare i rischi politici e sociali del progetto».

Secondo le organizzazioni sociali che si oppongono al Marlin project «è chiaro che la partecipazione dell’Ifc è un’assicurazione politica per Glamis, perché, come scrive Sandra Cuffe, esperta di problemi legati all’industria estrattiva in Guatemala e Honduras (in un report realizzato dall’ong canadese «Right’s Action», ndr), «i governi stranieri non vorranno interferire in un progetto della Banca mondiale».

Così il progetto avanza spedito, e si parla addirittura dell’avvio delle estrazioni entro la fine del 2005, un anno prima del previsto. Intanto piovono minacce contro coloro che – non paghi delle morti di Raul Castro e Alvaro Benigno – continuano a opporsi pubblicamente alla nuova miniera. Il 5 aprile scorso è stato trovato bruciato un veicolo di proprietà della Fundación Maya (FundaMaya), organizzazione membra del Frente Nacional Contra la Mineria. L’avvertimento era diretto a Carlos Humberto Guarquez, a Dominga Vásquez e a suo marito, Alfonso Guarquez. Il primo è membro di FundaMaya, la signora Vásquez è sindaco di Sololá, e aveva partecipato attivamente ai blocchi che avevano portato alla morte di Raul Castro, mentre il marito, giornalista, aveva scritto articoli promuovendo le ragioni del blocco.

«Questo succede, señor Carlos Humberto, per esserti messo in queste stronzate della società (civile, ndr); domani sarà il giorno, per te, di sparire da questo mondo; per ogni auto arriva il suo Sabato, anche per la señora Dominga e suo marito Alfonso Guarquez», era scritto – in uno spagnolo incerto e sgrammaticato – in una delle cinque lettere di minacce trovate a un lato dell’auto bruciata.

Una miniera per davvero

Il Marlin project è destinato a diventare davvero una «miniera d’oro» per l’impresa canadese: secondo lo studio di impatto ambientale garantirà all’impresa utili per 707 milioni di dollari complessivi nei dieci anni in cui è prevista l’attività di estrazione. Solo l’1%, però, rimarrà in Guatemala, sotto forma di royalties pagate da Glamis Gold in cambio della concessione e delle licenze. Una miseria che verrà divisa tra governo federale e municipale, in base alla legge mineraria approvata nel 1997 con il beneplacito della Banca mondiale e delle multinazionali del settore minerario.

Glamis Gold calcola che il progetto avrà una durata complessiva di 13 anni, durante i quali verranno estratti (combinando attività a cielo aperto e sotterranee) 2,1 milioni di once d’oro e 29,2 milioni di once d’argento. Il costo effettivo di estrazione per l’oro è calcolato in 107 dollari per oncia, mentre il prezzo sul mercato mondiale è arrivato a 433,15 dollari per oncia, con un aumento del 20% tra la fine del 2003 e il dicembre del 2004.

Un’analisi, pubblicata nel febbraio 2004 dal ricercatore indipendente Robert E. Moran e basata sullo studio d’impatto ambientale del progetto, realizzato da Glamis Gold sulla base del modello predisposto da Ifc per le attività estrattive, evidenzia l’insostenibilità sociale e ambientale di questi enormi profitti, i cui effetti si riverseranno sulle popolazioni del municipi di San Miguel Ixtahuacán e Sipacapa. Lo studio, conclude Moran, «manca delle previsione di un sistema permanente di monitoraggio dell’acqua, di dati attuali sulla disponibilità d’acqua nella regione, di informazioni sulla composizione chimica della vena metallifera, della roccia di scarto e degli altri residui, e mancano – infine – misure dei possibili effetti tossici sugli organismi viventi di detti residui e rocce di scarto».

Nessun beneficio, quindi, per i comuneros, cui resteranno solo le montagne distrutte – 38 milioni di tonnellate di rocce polverizzate – e suoli, fiumi e falde contaminate. Tutto ciò in cambio di 1400 posti di lavoro nel primo anno (quello di apertura della miniera), e 180 nei dieci successivi.

Strane consultazioni

La Defensoría Q’echi’ – un’organizzazione indigena che lavora nel tema dei diritti umani – dichiara: «La concessione di centinaia di autorizzazioni da parte del ministero per l’energia e le miniere costituisce una seria violazione dei diritti di migliaia di guatemaltechi indigeni, che non sono mai stati consultati né informati del fatto che i diritti di proprietà sotterranei delle loro terre erano state ceduti ad una compagnia mineraria». In base all’accordo N. 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro su diritti dei popoli indigeni e tribali, ratificato dal Guatemala come parte degli Accordi di Pace del 1996, i movimenti sociali del paese rivendicano l’illegalità del Marlin project.

Sebbene Glamis dichiari di aver consultato le popolazioni indigene vittime del progetto, un’inchiesta indipendente realizzata dal quotidiano guatemalteco Prensa Libre nel novembre 2004 dimostra che il 37,5 per cento di coloro che verranno danneggiati dalla miniera non sapevano assolutamente niente della concessione mineraria. Altri, riporta un documento del marzo 2005 pubblicato dal Bank Information Center, «si lamentavano del fatto che la compagnia parlasse solamente dei benefici del progetto, senza informare dei rischi per la salute e l’ambiente». Il 95 per cento del totale degli intervistati da Prensa Libre si mostrava contrario al progetto, invalidando così quanto affermato da Glamis Gold. Secondo la compagnia, infatti, il progetto poteva contare «su un esteso sostegno comunitario».

A poco serve anche la creazione della Fondazione Sierra Madre, considerata – alla stregua del prestito concesso dalla Ifc della Banca mondiale – un’iniziativa rivolta a garantire un «salvacondotto» per il Marlin project. Un processo di sviluppo comunitario basato sul rispetto della cosmovisione Maya delle comunità del Dipartimento di San Marcos, però, non può essere definito da una multinazionale interessata esclusivamente ai propri profitti.

Imprese vs. comunità

«La visione dello sviluppo delle comunità indigene, delle ong e degli attivisti che lottano contro la povertà è differente, in molti aspetti, da quella dominante» – sostiene Rights Action, organizzazione canadese che sostiene la lotta contro l’industria mineraria delle comunità indigene di Guatemala e Honduras. «Protestando contro gli interessi delle compagnie minerarie canadesi e statunitensi – continuano – le comunità locali e le organizzazioni stanno lottando per un’idea di sviluppo controllata e definita da parte delle comunità».

Non vale, cioè, la definizione di Glamis Gold, che considera «una minoranza di attivisti dell’anti-sviluppo» coloro che si oppongono al proprio progetto. Agitatori stranieri dicono, arrivati a istigare la popolazione guatemalteca, troppo stupida – del resto – per rendersi conto degli straordinari benefici delle attività minerarie, ritenute «lo sviluppo», tout court. La Banca mondiale, al riguardo, ritiene che: «Il settore minerario è un’industria essenziale e un cammino immediato e importante per aiutare i poveri a raggiungere alcuni dei benefici della società moderna».

Il 1 aprile, inaspettatamente, il governo guatemalteco ha accettato la proposta di dialogo della chiesa e del Frente Nacional Contra la Mineria. Gli obiettivi della società civile sono una moratoria permanente sulle attività di estrazione a cielo aperto e sull’utilizzo del cianuro per trasformare l’oro, oltre ad un aumento dall’1 al 5per cento delle royalties. Le negoziazioni sono appena iniziate e il cammino è lungo per un popolo che deve ancora rimarginare le ferite dei 36 anni di guerra civile che hanno sconvolto il paese fino al 1996; ferite riapertesi dopo la ratifica, nel marzo scorso, del Central American Free Trade Agreement (Cafta), che colloca nuovamente il Guatemala sotto l’ala protettiva degli Stati uniti d’America. Come cinquant’anni fa, quando il presidente «comunista», Jacobo Arbenz, venne rovesciato da un colpo di stato orchestrato dalla Cia.