L’ordinanza di August Stern su Cefalonia è una vergogna

«Per la prima volta non mi sento più sola». Sono parole pronunciate venerdì scorso a Monaco di Baviera da Marcella de Negri, figlia del capitano Francesco, uno dei circa 6000 militari italiani trucidati dai soldati della Wehrmacht nel settembre 1943 a Cefalonia.
Fino a poche settimane fa la sua battaglia per salvare l’onore del padre e di tutti gli altri militari italiani che, tra il 15 e il 22 settembre 1943, combatterono contro l’esercito nazista, è stata una battaglia solitaria, condotta nel silenzio pressoché assoluto della politica e dell’informazione. Venerdì a Monaco di Baviera, invece, si è suggellato il fatto che, nelle ultime settimane, qualcosa è cambiato. All’interpellanza presentata alla Camera farà seguito un’interpellanza urgente al Senato. A confermare quest’impegno, la giornata di venerdì: una conferenza stampa, organizzata da un nutrito gruppo “italo-tedesco” di giovani storici “contro la tradizione nazista”, alla quale abbiamo partecipato insieme a rappresentanti dell’Anpi, dell’Aned, dell’Istoreco di Reggio Emilia, dell’Associazione Perseguitati Antinazisti di Baviera e di altre sigle antinaziste tedesche, e una manifestazione di protesta forte ed appassionata di fronte alla Procura.
Protesta contro chi? Contro che cosa? Contro chi e contro che cosa Marcella de Negri ha dovuto difendere la memoria di centinaia di soldati che, all’indomani del proclama con cui Badoglio dichiarò l’armistizio con gli Alleati, si rifiutarono di consegnare le armi al nemico e diedero vita ad un eclatante episodio di resistenza anti-tedesca? Contro una ordinanza del luglio di quest’anno emanata da August Stern, procuratore generale del Tribunale di Monaco, con la quale si è disposto il proscioglimento dell’ex sottotenente Otmar Mühlhauser – l’ultimo sopravvissuto tra gli ufficiali reo confessi che ordinarono la strage di Cefalonia – e quindi l’archiviazione del processo di primo grado. Contro August Stern e la sua ordinanza, nella quale, a chiare lettere, egli sostiene che i militari della divisione Acqui di stanza a Cefalonia dovevano considerarsi “traditori paragonabili a disertori”, vigliacchi voltagabbana schieratisi dalla parte del nemico (“nemici combattenti”) e quindi indegni del riconoscimento e del trattamento di prigionieri di guerra. Anzi, peggio dei disertori di guerra tedeschi, se si considera che dal 2002 è in vigore una legge del Bundestag – che Stern non può non conoscere – che riabilita tutti coloro i quali disertarono, tra le fila tedesche, la seconda guerra mondiale poiché «guerra di aggressione e sterminio».
Per Stern l’omicidio colposo – che pure egli è costretto a riconoscere – è privo delle «circostanze aggravanti» e quindi il reato cade in prescrizione. Dal momento però che il codice penale tedesco definisce «omicidio colposo aggravato ogni omicidio commesso nei confronti di una persona […] per avidità o ulteriori vili motivi», l’assenza delle aggravanti indica che Stern non ha reputato «vili» i motivi che hanno spinto Mühlhauser a ordinare la fucilazione degli italiani. Le motivazioni dei militari tedeschi non erano vili – ha sostenuto Stern nei giorni scorsi – perché essi non le ritenevano tali. Ciò significa attenuare sul piano giuridico, se non giustificare e legittimare, le responsabilità di coloro i quali compirono quel tremendo eccidio.
E fino a venerdì scorso quella sentenza, oltraggiosa ed inaccettabile anche sotto il profilo strettamente storiografico (perché disconosce nei fatti – come si diceva – il quadro delle alleanze che si determinò ufficialmente con l’armistizio dell’8 settembre), è stata vissuta, nell’indifferenza collettiva, come un fatto «privato» tra il giudice Stern e la coraggiosa figlia di Francesco de Negri.
Noi oggi vogliamo che quel fatto diventi pubblico, vogliamo che investa per intero la sfera dei rapporti istituzionali tra lo Stato italiano e lo Stato tedesco. Per questo abbiamo lavorato – e continueremo a farlo – alla Camera e al Senato, chiedendo al governo di mobilitarsi affinché si ottenga dal governo tedesco il netto riconoscimento dell’indegnità dell’ordinanza e affinché le nostre istituzioni intervengano come parte civile nel processo, affiancando Marcella de Negri. Per questo abbiamo partecipato all’importante appuntamento di Monaco.
Per un beffardo paradosso procedurale, nelle prossime settimane sarà lo stesso pubblico ministero Stern a giudicare il ricorso presentato contro la decisione di prescrivere il reato a Mühlhauser.
Si impone quindi, con ancora maggiore urgenza, un intervento delle istituzioni statali e prima ancora della politica. Un intervento di condanna, che chieda risolutamente alla Germania, in tutte le sue articolazioni istituzionali, di riconoscere la verità storica. Una verità storica che è incompatibile con le argomentazioni contenute nel dispositivo di archiviazione. Considerando “traditori” i militari italiani, la sentenza assume come proprie le ragioni dei nazisti: se era vero che l’esercito italiano era da considerarsi parte integrante dell’esercito nazista, l’obbedienza dei nostri militari alle disposizioni del governo di Roma costituiva un vero e proprio tradimento, che andava quindi punito con l’eliminazione fisica. Una verità storica dimostrata già a Norimberga, con la condanna a 12 anni di carcere per il comandante delle forze tedesche a Cefalonia, generale Hubert Lanz, ritenuto colpevole di avere fucilato «illegalmente» soldati e ufficiali italiani. Una verità storica – il fatto che «il fascismo non è un’opinione, il fascismo è un crimine», come ricordava un grande striscione alla manifestazione di venerdì – che nessun revisionismo potrà modificare. Si vuole riscrivere la storia cercando ignobilmente di portare sul banco degli imputati non già gli aguzzini nazisti e fascisti ma coloro i quali hanno combattuto per la libertà e per la democrazia.
Le 6000 vittime di Cefalonia e le centinaia di migliaia di vittime del nazifascismo ci ricordano ogni giorno che esistono torti e ragioni immodificabili. Non possiamo esimerci dal ricordarlo, ogni giorno.