L’operaio è solo, con il suo padrone

Dopo l’uscita elettorale di Berlusconi sulle tasse della sinistra e la boutade sull’eliminazione dell’Ici, si è presentato al patronato della Cgil un anziano operaio per chiedere quando gli sarebbe arrivata l’indennità di mobilità. Uno, due mesi, gli abbiamo risposto. E lui: “Spero prima delle elezioni, sennò Prodi me ne mangia la metà con le tasse”». Parla Mino Bonomelli («come la camomilla», precisa), responsabile per la val Camonica dello Spi che è il sindacato pensionati della Cgil. Racconta alcuni aneddoti per farmi capire come il messaggio berlusconiano stia penetrando in quello che una volta era l’insediamento sociale della sinistra, nel nostro caso un operaio troppo giovane per andare in pensione e troppo anziano per trovare un altro lavoro, che vive con un misero assegno di mobilità ma ha paura che «i comunisti» glie lo mangino con le tasse. E siccome da queste parti quasi tutti hanno la casa di proprietà, e magari con il tempo e la fatica l’hanno comprata anche ai figli, seguono il pifferaio che promette l’abolizione dell’Ici. Ma ci è capitato anche di sentire un operaio, tessera Fiom in tasca, ripetere lo slogan della Lega che oggi va per la maggiore, più ancora di «Roma ladrona» e che recita: «Ognuno padrone a casa sua». Ebbene, quell’operaio vive in una casa in affitto.
C’era una volta la Dc
In questa valle la sinistra non è mai stata maggioritaria, ai tempi che furono spadroneggiava la Dc ma in ogni paese c’era una forte presenza politica e culturale della sinistra che faceva la differenza. Oggi la sinistra oscilla tra lo zero e il 10%, ma soprattutto non si vede, non agisce, non parla alla testa e al cuore dei lavoratori mentre impazzano – al posto della vecchia Dc che era un coacerbo di interessi e culture ma in cui trovava posto anche la categoria della solidarietà – quelli che parlano alla pancia della «gente»: il populismo eversivo «del Berlusca». E crescono i muri leghisti contro gli immigrati, i meridionali, i cinesi «che ci fanno concorrenza e allora avanti con le stupidaggini dei dazi». In un recente convegno della Comunità montana della Valtrompia sull’immigrazione, ci racconta Fausto Beltrami della segreteria della Camera del lavoro bresciana, è stata presentata un’indagine realizzata nelle scuole superiori, istituti tecnici e licei: «Il 23% dei ragazzi intervistati, rispondendo a una domanda ha dichiarato “Sì, io sono razzista”. A una successiva domanda su quali siano le razze inferiori hanno risposto “gli africani, quelli di una religione diversa, gli handicappati”. Nel rimanente 77% molti si dicono non razzisti ma cadono al primo trabocchetto. E quel che è peggio, anche se si può capire, è che la percentuale di “razzisti” è maggiore negli istituti tecnici che nei licei».
E’ difficile capire cosa stia capitando ai lavoratori dipendenti del Profondo Nord e perché in maggioranza votino per la destra, se non si tiene conto del contesto, del territorio in cui i processi di smottamento della cultura politica si verificano. Non a caso gli operai, i delegati, i sindacalisti con cui abbiamo parlato nelle valli e nella bassa Bresciana ci hanno parlato dell’inadeguatezza della scuola, e al tempo stesso dell’importanza della scuola e della cultura. Francesco Ballarini, responsabile Fiom in Val Camonica, taglia corto: «Ci accorgiamo adesso che il nostro insediamento sociale è in crisi? Già nel ’96 la metà dei miei iscritti votava per la Lega. Chi l’ha detto che un operaio che stenta a mettere insieme il pranzo con la cena voti obbligatoriamente a sinistra? Invece di chiederci perché l’operaio vota a destra dovremmo chiederci che differenza c’è tra destra e sinistra. Anzi, visto che sei qui, perché non me la spieghi tu la differenza, così poi la vado a dire ai miei operai? Io capisco che sulle politiche economiche e sociali l’unica differenza è l’uso della vaselina. Se non hai un’idea alternativa su come deve andare il mondo, cosa vai a proporre ai lavoratori? La destra dice cose chiare, disgustose ma chiare. Noi non riusciamo nemmeno a ritirare le truppe dall’Iraq. Oppure devo sentire il ministro Damiano che con candore promette la cancellazione non della legge 30, ma dello staff leasing. E’ troppo facile dare la colpa a chi non ha, o non ha più perché la sinistra s’è liquefatta ed è scomparsa dal territorio, una cultura politica e nel deserto se la prende non con chi lo sfrutta, ma con il senegalese». Come ci spiegheranno gli operai della Beretta in Val Trompia, «gli operai in fabbrica ci tengono d’occhio e ci dicono: “Vogliamo vedere dove andranno a finire le vostre lotte quando il governo Prodi ci metterà in mezzo come ha fatto Berlusconi”. Siamo sotto esami». Va giù duro contro «il neoliberismo moderato» Ballarini, capo dei metalmeccanici camuni: «Nell’ipotesi improbabile in cui il presunto “governo amico” dovesse fare tutto bene, noi della Cgil dovremmo comunque organizzargli uno sciopero contro. Se non lo faremo, nessuno crederà più alla nostra sbandierata autonomia». Solo un paradosso?
Blocco sociale addio
«Se la sinistra non tutela più i lavoratori, se in nome dei famosi interessi generali si accanisce con i pensionati, se pensa che il suo bacino elettorale sia un altro (o peggio ancora che sia immarcescibile), se punta a conquistare il centro dello schieramento politico, allora tanto vale votare per Berlusconi o per la Lega che spazzano via le regole e teorizzano l’individualismo», sostiene Gabriele Calzaterri, responsabile dell’industria e degli edili in valle. Fa incazzare, ma non fa più scandalo da queste parti che i lavoratori dipendenti, magari pendolari che vanno a lavorare alla Iveco di Brescia o alla Dalmine votino «per chi glie la mette in quel posto». La frammentazione del tessuto industriale produce isolamento, «cosicché sei solo in fabbrica e poi sei solo nel paese dove quando arrivi è già notte, ma anche se fosse giorno non vedresti niente di sinistra», raccontano in tanti. Non una sezione Ds, in compenso ci sono i gazebo leghisti: «Ognuno padrone a casa sua». «Il fenomeno leghista è vecchio nelle fabbriche – continua Calzaterri – ma ora ha assunto una dimensione macroscopica. Prima in fabbrica si litigava sulla politica, ora tacciono, e questo potrebbe spiegare il flop degli exit pole alle elezioni politiche. Al massimo ti dicono: “Tu pensa a difendere i nostri diritti che alla politica ci penso io”. Nell’edilizia il 30% dei dipendenti regolari è costituito da extracomunitari, per non parlare del sommerso dove con lo sfruttamento dell’esercito salariale di riserva si mettono i lavoratori gli uni contro gli altri, si riducono i diritti. Così si alzano nuovi muri. Per buttar giù gli steccati dovremmo batterci per garantire i diritti ai più deboli, agli immigrati ma anche ai giovani che un lavoro stabile se lo sognano».
Il boom di Lega e Forza Italia
Daniele Gazzoli è un giovane sindacalista promosso responsabile dei tessili nel comprensorio camuno. Confessa che da studente aveva simpatie per la Lega, poi il lavoro in una fabbrica metalmeccanica gli ha fatto «guardare in faccia la realtà». «Qui in valle il voto leghista, soprattutto tra i ceti più poveri, è ormai consolidato. In 41 comuni Lega e Forza Italia raccolgono più del 50% dei consensi. La Cgil è differente dal passato: una volta al sindacato si arrivava direttamente dalla politica, dal partito, non poteva capitare che metà degli iscritti votasse a destra. Io alla politica sono arrivato attraverso la Cgil. Ma mi chiedo: il problema è la dissociazione dei lavoratori, o l’evanescenza della sinistra? Ha ragione la mia delegata tessile (vedi l’intervista sul manifesto del 13 giugno, ndr) quando dice che a salvare l’articolo 18 è stata la Cgil, non la sinistra. Anche chi vota Lega te lo trovi nelle battaglie in difesa dei diritti. Ma se sali verso l’alta valle, se vai nelle piccole e piccolissime aziende non sindacalizzate, la musica cambia. Ho fatto un’assemblea in una scuola per elettricisti e mi hanno fatto nero: “A che serve il sindacato”, dicevano, “se vali vai avanti sennò fa bene il padrone a licenziarti”».
La solitudine del pendolare
I pendolari si fanno anche 4 ore di viaggio per lavorarne 8 in fabbrica. Partono dal paese di notte e tornano a casa di notte. Anche prima che arrivassero Lega e Forza Italia succedeva. «Certo – dice Bonomelli – ma in passato viaggiavano insieme in treno e discutevano tra loro mentre oggi magari sono ammucchiati in un pullmino dove uno guida e gli altri dormono; poi lavoravano e lottavano insieme in fabbrica, mentre ora la grande fabbrica non c’è più, si è frammentata e ognuno è solo con se stesso; quando tornano a casa sono ancor più soli». Il ghanese che in fabbrica è un compagno di lavoro diventa un nemico se ce l’hai vicino di casa. Qualcuno diceva che l’unica cosa che bisogna temere è la paura. Brescia è uno dei presidi storicamente più forti della Cgil. Gli iscritti sono «113 mila, di cui 65 mila pensionati. 8 mila sono dipendenti pubblici e 40 mila lavoratori dipendenti sui 250 mila in provincia. Qui si fa contrattazione – racconta Beltrami – che però non tocca più di 70 mila lavoratori. Gli operai che non raggiungiamo con la contrattazione sono quelli che subiscono di più l’egemonia dei padroncini, che a loro volta sono schiacciati dai padroni più grossi. Tra questi operai puoi trovare chi ha più paura della concorrenza cinese che della precarietà. Dentro una deriva culturale, con un crollo persino della scolarizzazione nelle aree sociali più esposte, si insinua il berlusconismo, l’idea che poi farcela da solo mettendo i piedi sulla testa di chi ti sta vicino, alzando muri e steccati». «La cancellazione delle tematiche del lavoro dall’agenda della sinistra consente e accelera questi processi. Cresce il lavoro nero e sommerso – dice Bonomelli – a volte addirittura con la soddisfazione di chi viene sfruttato senza contributi; così, dice, non ci devo pagare le tasse».
L’ultimo comprensorio
A Darfo-Boario Terme c’è l’ultimo comprensorio della Cgil, l’unico sopravvissuto dopo la decisione della confederazione di strutturarsi per provincie. Una scelta che fece discutere e che in molti ancora non hanno digerito. Le perplessità ce le spiega con parole semplici il segretario del comprensorio, Domenico Ghirardi: «Le grandi fabbriche sono sempre meno e sempre meno grandi, il lavoro sindacale si fa più difficile. Alla frammentazione aziendale si accompagna la frammentazione culturale, delle soggetività e degli interessi che il sindacato fatica a rappresentare. Un operaio monoreddito di una grande azienda ragiona diversamente da chi fa il suo stesso lavoro ma in casa gli entrano due o tre stipendi. Diversi sono gli operai delle piccole e piccolissime aziende. In assenza di un’azione politica e culturale della sinistra si fa strada la logica dell’avere rispetto a quella dell’essere, avanzano altri valori, se così vogliamo chiamarli. Senti dire: “Berlusconi ha rubato ma è riuscito, forse anch’io se mi aggiusto ce la posso fare a portare a casa qualcosa”. Prendi gli operai nonoreddito: nei processi di ristrutturazione aziendale succede che i primi a essere colpiti siano quelli sindacalizzati. E allora, anche nei luoghi dove c’è una tradizione conflittuale qualcuno, anche dei nostri, comincia a ritrarsi, nella speranza di salvare la pelle».
E la sinistra? «Non s’è vista quando c’erano da difendere i diritti. S’è buttata al centro – risponde Ghirardi – con il bel risultato di non sfondare dove la destra ha più strumenti e di perdere il suo insediamento sociale. Come sindacato ci troviamo soli nel territorio a reggere ai processi di trasformazione ma abbiamo molti limiti: siamo vecchi, burocratizzati. La Cgil è un elefante con i piedi d’argilla. Andrebbe ridisegnata l’organizzazione, tentando di unificare i sindacati dei settori merceologici come proviamo a fare qui da noi. Bisogna stringere nel territorio il rapporto con i lavoratori per non lasciarli soli, sotto l’influenza e il dominio dei padroncini. La scelta di un’organizzazione provinciale, centralistica, è sbagliata, va nella direzione opposta al radicamento nel territorio che è la cosa che ti consente di tentare processi di riunificazione di interessi e soggettività. Come fai a difendere il welfare se non sei radicato nel territorio?». (2/ continua)