L’Onu: decine di civili uccisi a Gaza

Dovrebbe informarsi prima di parlare il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Gordon Johndroem. Ieri ha smentito che l’operazione israeliana «Piombo fuso» – che in meno di tre giorni ha ucciso a Gaza 345 palestinesi e ne ha ferito altri 1.600 – sia finalizzata ad abbattere il potere di Hamas. Mentre a Washington Johndroem rispondeva alle domande dei giornalisti, a Gerusalemme il vice premier israeliano Haim Ramon affermava in modo fin troppo esplicito che «Il fine delle operazioni (a Gaza) è di far cadere il regime di Hamas…Noi cesseremo subito il fuoco se qualcuno si assumerà la responsabilità di governare a Gaza, chiunque, meno Hamas al quale impediremo di controllare quel territorio». È un invito a farsi avanti al debole presidente palestinese Abu Mazen? Non subito, in un prima fase Israele preferirebbe veder entrare a Gaza un contingente internazionale, oppure arabo ma guidato dagli «amici» egiziani.
In ogni caso le ammissioni fatte da Ramon, che confermano indirettamente l’imminenza dell’offensiva israeliana di terra di cui si parla da giorni, non spaventano Hamas. Malgrado i micidiali bombardamenti a tappeto, malgrado i 345 morti e il migliaio di feriti, Hamas non si arrende. I suoi uffici, caserme e ministeri sono in macerie, la sua università, fiore all’occhiello, è stata polverizzata e i suoi leader sono costretti alla clandestinità. Eppure – ha assicurato ieri il portavoce del movimento islamico Fawzi Barhum – la determinazione del movimento non si è indebolita: «Israele ha scelto il momento d’inizio delle ostilità, ma sarà Hamas a stabilirne la fine».
E non deve aver esagerato troppo se anche ieri il braccio armato del movimento islamico, le Brigate Ezzedin al-Qassam, ha sfidato di continuo l’aviazione israeliana che pure ha il controllo dei cieli di Gaza. Decine di razzi sono stati sparati contro le città del sud di Israele e ad Ashqelon hanno ucciso un manovale beduino. I militanti di Hamas non trascurano persino la guerra psicologica visto che inviano messaggi via radio ai soldati israeliani ammassati ai bordi di Gaza per l’attacco di terra. «Se avete coraggio – ripetono – smettete gli attacchi aerei ed entrate fisicamente a Gaza. Se lo farete, vi bruceremo vivi». Ovunque in Cisgiordania, intanto, si moltiplicano le manifestazioni contro Israele ma che prendono di mira anche il presidente dell’Anp Abu Mazen nell’imminenza della scadenza (8 gennaio) del suo mandato. A Hebron la polizia ha sparato in aria.
La popolazione di Gaza però non ha la forza, la capacità di resistenza dei militanti. Le sofferenze sono enormi e i raid aerei non cessano. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki moon è tornato a denunciare l’operazione militare israeliana. Il bilancio dei morti palestinesi include decine di civili (il 28 dicembre era 57 secondo l’Unrwa e 69 per Ocha) tra cui molti bambini.
Fra questi cinque sorelline, fra i quattro e i 17 anni, vittime di un raid aereo sul campo di Jabaliya. «Ero immersa nel sonno. Il boato dell’esplosione non l’ho nemmeno sentito. A svegliarmi è stato il soffitto, che ci è piombato in testa. Mi sono trovata coperta di macerie. Poi sono stata fulminata dal pensiero che dovevo salvare i miei figli», ha raccontato Samira Balusha, la madre delle sorelline morte.
Lei si è salvata per miracolo, come per miracolo si sono salvate altre famiglie che vivono intorno all’edificio colpito. Le televisioni ieri hanno mostrato le decine di case distrutte o danneggiate dopo che domenica notte un F-16 ha centrato e polverizzato la moschea Imad Aqel, che poi è rovinata sulla abitazione dei Balusha. Se c’era un motivo che quel luogo di preghiera dovesse essere distrutto, a Jabaliya lo ignorano. «Immediatamente – ha raccontato ancora la donna – il mio pensiero è andato a Barah», la neonata di 13 giorni nella culla che fortunatamente rovesciandosi ha protetto la piccola, salvandola. Per le altre non c’è stato nulla da fare. Quattro sono morte sotto le macerie, la quinta è spirata tra le braccia della madre.
L’emergenza umanitaria si aggrava con il passare delle ore nonostante Israele abbia fatto entrare a Gaza qualche decina di autocarri carichi di merci. «Domenica sono passati 40 camion di aiuti alimentali, oggi (ieri) 100, ma abbiamo bisogno di molti più aiuti perché eravamo rimasti completamente senza scorte», ha avvertito Karen AbyZayd, commissario generale dell’Unrwa che ha nuovamente esortato Israele ad interrompere i suoi attacchi e ad aprire altri transiti con la Striscia di Gaza.
Un po’ di aiuti dovrebbero arrivare oggi con la nave pacifista Dignity salpata ieri sera da Cipro. Il rischio che la marina militare dello Stato ebraico possa fermarla è molto alto. A bordo oltre ad due tonnellate di farmaci e materiale sanitario per gli ospedali, ci sono anche quattro medici, tra cui il chirurgo e parlamentare cipriota Elena Theoharous, attesa nelle sale operatorie dello Shifa di Gaza city dove si sta cercando di salvare la vita di decine di feriti gravissimi e che lottano tra la vita e la morte. Sulla Dignity sono saliti anche un ex congresswoman Cynthia McKinney, candidata per i Verdi alle presidenziali americane, e un giornalista sudanese, responsabile per i diritti umani della televisione satellitare Jazeera, che è stato detenuto a Guantanamo.
Nel frattempo alla frontiera tra Gaza e il Sinai ieri si sono schierati 10mila soldati egiziani per evitare che i palestinesi abbattano le barriere di confine e si riversino sull’altro versante per cercare scampo dai bombardamenti israeliani ma anche per procurarsi generi di prima necessità introvabili a Gaza. L’Egitto ha finalmente consentito il passaggio, ma con il contagocce, di dieci feriti, attesi nel vicino ospedale egiziano di Al Arish. È stato anche possibile scaricare dai camion 50 tonnellate di viveri, medicinali, attrezzature e materiale sanitario. Ieri è scesa in campo anche la Chiesa cattolica.
La Nunziatura apostolica e la Custodia francescana di Terra Santa hanno espresso «sorpresa» per la violenza dell’offensiva militare israeliana. Più esplicito è stato padre Manuel Musallam, parroco palestinese di Gaza city, che ha chiesto soccorso immediato per gli abitanti della Striscia allo stremo.
Padre Musallam ha parlato di «crimine di guerra» che sta colpendo pesantemente i civili. «Da giorni – ha raccontato – a Gaza non si dorme, mancano cibo, acqua ed elettricità. Siamo stanchi perché crediamo che questa guerra durerà per molti altri giorni e che ci saranno tante vittime innocenti. L’attacco lanciato sabato mattina – ha aggiunto Musallam – altro non è che un crimine di guerra. Non riesco proprio a capire cosa sperano di ottenere gli israeliani. Questo è solo un modo di uccidere la pace». Domenica padre Mussallam non ha potuto celebrare la messa perché un missile ha centrato una stazione di polizia proprio a fianco della sua chiesa.