La risposta è «no». Al Segretario generale delle Nazioni unite che ieri ha chiesto un immediato cessate il fuoco Israele ha risposto che, per ora, non se ne parla nemmeno, mentre ha aperto alla possibilità del dispiegamento di una forza internazionale d’interposizione nel sud del Libano. Dopo aver discusso col presidente della Commissione europea, Jose Manuel Barroso, Kofi Annan ha fatto appello a una tregua e proposto una forza di stabilizzazione più nutrita e con un mandato più robusto rispetto a quello dei 2.000 uomini attualmente schierati nell’ambito della missione Unifil.
«Stiamo iniziando un percorso diplomatico – ha fatto sapere il ministro degli esteri di Tel Aviv, Tzipi Livni – che non mira ad abbreviare il tempo necessario alle operazioni militari, ma piuttosto rappresenta un’appendice di queste ultime e vuole prevenire future operazioni militari». A Vijay Nambiar, l’inviato dell’Onu che ieri è giunto nello Stato ebraico dopo aver fatto tappa a Beirut, l’esecutivo che era nato su una piattaforma di ritiro – dopo Gaza – da altri territori occupati, ha spiegato di voler continuare il lavoro di distruzione del Libano e di Hezbollah, il partito libanese la cui milizia mercoledì scorso ha rapito due soldati israeliani.
Poco importa che il rappresentante dell’Unicef, Roberto Laurenti, abbia illustrato così gli ultimi dati sui profughi interni: «La situazione è allarmante e catastrofica. Gli sfollati sono già circa 500.000» o che la polizia libanese abbia quantificato in 42 i ponti distrutti e in 38 le strade inagibili; solo alcuni dei danni prodotti dai bombardamenti e dall’isolamento del Paese. Si va avanti.
Si continua a combattere da entrambe le parti. Ieri gli hezbollah hanno colpito nuovamente Haifa, Safed, Acri, Kiryat Shemona, e Gush Halav. Un morto a Nahariya, dove un trentenne israeliano (il 13esimo civile ucciso in sette giorni) è stato centrato da uno delle decine di razzi Katyusha sparati verso lo Stato ebraico. Mentre proseguivano le operazioni di evacuazione degli occidentali, l’artiglieria e i caccia con la stella di David hanno continuato a martellare il Paese dei cedri: una postazione dell’esercito libanese è stata centrata e undici militari sono rimasti uccisi. Decine i civili ammazzati nel resto del paese, con il bilancio che, a una settimana esatta da quella che ieri il premier libanese ha definito «follia israeliana», si attesta ad almeno 230 vittime civili.
E che non ci siano segnali di un’immediata soluzione della crisi lo dimostra anche la dimensione assunta dall’evacuazione degli occidentali dal paese, abbandonato in fretta e furia anche ieri da migliaia di stranieri. Se ne vanno anche i familiari dei funzionari e tutto il personale non essenziale delle Nazioni unite.
Il generale Udi Adam, a capo del comando settentrionale dell’esercito israeliano, ha detto che l’offensiva contro il Libano continuerà. «Dobbiamo aspettarci che duri qualche altra settimana», ha dichiarato alla Radio militare. Il vice capo di stato maggiore, il generale Moshe Kaplinski, ha ammesso alla stessa emittente di non escludere «un’invasione del Libano da parte delle forze di terra». I comandanti militari si sentono forti della scarsa opposizione che l’offensiva ha finora incontrato (appello di Annan a parte) nella Comunità internazionale, con l’Amministrazione statunitense che durante l’ultimo G8 di Mosca ha messo la sordina a ogni accenno di critica. Di questo avviso è l’analista militare di Ha’aretz, Ze’ev Schiff: «Se Israele non commette alcun errore brutale durante i combattimenti, gli sarà permesso di continuare i suoi attacchi contro Hezbollah per una settimana o due, forse di più».
Entrambi i fronti interni delle forze che hanno contribuito all’escalation dell’ultima settimana sembrano mantenersi compatti: per l’86% degli israeliani la campagna contro il Libano è giusta e per il 78% il premier Olmert la sta portando avanti nel migliore dei modi. Per l’ex sindaco di Gerusalemme, un non-generale a cui è toccata l’eredità di Sharon, è un risultato eccezionale. Così come cresce la popolarità di Nasrallah, il leader di Hezbollah, nel mondo arabo. Anche all’interno del Paese dei cedri l’effetto dei devastanti e indiscriminati raid dell’aviazione di Tel Aviv sembrano rafforzare lo sceicco. Nel sud roccaforte del Partito di Dio e tra le macerie dei palazzi della periferia di Beirut rasi al suolo dagli F-16 israeliani l’odio contro «il nemico sionista» non può che aumentare.