L’Onu: «Basta pulizia etnica di Sharon»

Le Nazioni unite: cacciati da Gerusalemme 100.000 palestinesi, il muro dell’apartheid ora deve essere fermato

E’ perentoria la denuncia dell’avvocato sudafricano John Dugard, relatore speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nei Territori occupati. Il recente ritiro dalla Striscia di Gaza ha consentito a Israele di distogliere l’attenzione internazionale dalla sua ulteriore espansione a Gerusalemme est e negli altri territori palestinesi. «Questo focalizzarsi dell’attenzione su Gaza ha permesso a Israele di proseguire con la costruzione del muro», ha spiegato Dugard in un rapporto di 19 pagine diffuso due giorni fa, «con l’espansione degli insediamenti e con la de-palestinizzazione di Gerusalemme, in pratica senza alcuna critica». Itzhak Levanon, ambasciatore israeliano presso l’Onu a Ginevra, ha condannato il rapporto come «distorto nella sua presentazione, eccessivo nelle conclusioni politiche; è un ripetuto tentativo di colpire Israele». Quelle di Dugard però sono accuse particolareggiate. Israele, ha scritto, è impegnato a ridurre il numero dei palestinesi che oggi vivono a Gerusalemme est e, allo stesso tempo, ad aumentare la percentuale degli ebrei in quella stessa parte della città (occupata militarmente dallo Stato ebraico nel 1967), impedendo di fatto che i palestinesi possano in futuro proclamare la loro capitale nella zona araba. Gli insediamenti colonici pertanto crescono senza sosta a Gerusalemme est, anche nella Città vecchia e le aree palestinesi vengono divise da demolizioni di case e dalla creazioni di parchi. La comunità internazionale non apre bocca di fronte a tutto ciò, soddisfatta dell’avvenuto ritiro di soldati e coloni israeliani dalla Striscia di Gaza, appena 360 kmq di terra. I disegni stategici veri, cerca di far capire Dugard, riguardano la Cisgiordania e Gerusalemme, non l’insignificante lembo di terra di Gaza. L’avvocato sudafricano ha preso di nuovo in esame l’impatto sulla vita della popolazione civile palestinese, del muro di separazione che Israele sta costruendo all’interno della Cisgiordania. Con particolare attenzione al futuro di Gerusalemme. Giustificato con la necessità di proteggere i cittadini israeliani dai kamikaze palestinesi, il muro in realtà ha finalità politiche – punto sul quale convergono anche gli studi fatti da centri israeliani, tra cui Betselem – poiché «trasferirà» fuori dai confini municipali di Gerusalemme circa 55mila palestinesi e taglierà fuori altri 50 mila palestinesi ufficialmente residenti nella zona araba della città ma che (per mancanza di alloggi e le restrizioni israeliane ai progetti arabi di edilizia popolare ) abitano nei sobborghi di Gerusalemme. «Ciò significa che il muro colpirà il 40% dei 230 mila palestinesi che vivono a Gerulemme est», ha scritto. Già nel 2004 Dugard accusò Israele di costruire il muro per confiscare terre e fissare i suoi confini futuri senza negoziarli con i palestinesi. Lo scorso anno il relatore dell’Onu non esitò a parlare di «apartheid» per la condizione dei palestinesi nei Territori occupati, «peggiore di quella una volta esistente in Sudafrica». Dugard si richiamò nel suo precedente studio ad un altro rapporto, scritto nel 2003 da Jean Ziegler, esperto dell’Onu per il diritto all’alimentazione, che sottolineava che sebbene «le ragioni di sicurezza di Israele» siano indiscutibili, la malnutrizione provocata dall’ occupazione israeliana è una «punizione collettiva vietata dalle Convenzioni di Ginevra». Nel testo si sottolineava che il 22% dei bambini sotto i cinque anni è malnutrito, che il 60% circa dei palestinesi vive in estrema povertà (il 75% a Gaza, il 50% in Cisgiordania), che più del 50% dei palestinesi è stato costretto a indebitarsi per nutrirsi e che molti altri, disperati, vendono tutto ciò che hanno. Inoltre, più del 50% dei palestine sopravvive grazie agli aiuti umanitari.

In seguito al rapporto Dugard del 2004 una commissione di esperti del ministero della giustizia israeliano consigliò (invano) al governo Sharon di considerare la possibilità di applicare la Convenzione di Ginevra, che disciplina il trattamento della popolazione civile in un territorio occupato.