La direzione allargata di Rifondazione comunista, alla Federazione romana di via Squarcialupo, è stata, come annunciato, l’occasione di un’analisi del contesto politico – con al centro, inevitabilmente, la crisi di governo e i fattori che l’hanno determinata – e un abbozzo delle linee programmatiche future. Perché anche se fu un fisico a dire che a ogni azione corrisponde una reazione, il segretario Franco Giordano ha mostrato di voler tenere presente la lezione newtoniana e di avere già in mente le prossime mosse di Rifondazione. Ha chiesto un primo appoggio del partito alla sua strategia perché, ha scandito al termine della relazione, “il momento è delicato”.
La crisi – il segretario l’ha definita “una volgare e repentina azione di trasformismo” – è stata determinata al centro, “luogo di permeabilità e frana sul versante dei poteri forti”. Si legga: Confindustria che aveva appena incassato il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, le gerarchie ecclesiastiche in fase di – coincidenza? – attivismo verbale dopo la rinuncia ratzingeriana alla visita alla Sapienza. Quel centro è stato evidentemente sensibile a certe proteste nonostante, ha detto Giordano, “quei partiti fossero stati sempre coccolati, avessero ottenuto attenzione su questioni dirimenti”. La linea della segreteria è su due conduttori temporali, uno a breve, l’altro a lungo termine. Nell’immediato Rifondazione comunista propone, per uscire dalla crisi, “un governo che in un tempo breve sia in grado di ottenere una legge elettorale sulla base della bozza Bianco”, perché il sistema attuale spinge alla frammentazione e costringe alle coalizioni coatte. Lo stesso esecutivo a termine dovrebbe farsi carico di ridistribuire quei 12 – 14 miliardi di euro a disposizione delle casse dello stato, a beneficio dei salari e dei ceti più deboli.
In prospettiva strategica, invece, secondo Giordano è giunto il momento di dare battaglia su uno dei temi più cari, da Enrico Berlinguer in poi, alla sinistra: la questione morale. Il segretario è convinto: “Ci vuole una riforma morale e intellettuale del paese, su questo tema dobbiamo ricostruire un’etica pubblica e impostare la campagna elettorale”. Il degrado culturale del paese, “impastato con la crisi sociale”, è devastante per l’Italia ed è la diretta causa della crisi della politica. Un primo segnale, ha detto Giordano, deve essere la prosecuzione della battaglia per spingere il governatore siciliano Totò Cuffaro alle dimissioni. Poi, pretendere che il Parlamento riconquisti una sua centralità dopo anni in cui si è assistito a uno sbilanciamento dei poteri dalla parte dell’esecutivo. Il segretario ha apprezzato, in questo senso, il modo in cui Romano Prodi ha gestito la crisi portandola, con trasparenza, in aula. Inutile dirlo, poi, liberarsi delle scorie. Giordano è netto: “Mai più con i Mastella e con i Dini”. Parallelamente, rilanciare il processo unitario a sinistra, favorire la nascita dei una sinistra unita e plurale. Il leader di Rifondazione non ha rinunciato alla stoccata a chi non appare convinto: “Non si può dire, fino a ieri, sì all’unità e poi pretendere una soglia di sbarramento bassa, per tenersi il doppio binario”. Ha annunciato, per il nove febbraio prossimo, una grande assemblea unitaria a Torino, “per recuperare quel concetto di centralità operaia che sembra essersi perso”.
Quell’unità chiesta da Giordano al partito per la gestione della fase, non esiste in senso assoluto. Si sapeva, già alla vigilia, dei mugugni delle minoranze, “L’Ernesto” ed “Essere comunisti”. Per i primi ha parlato Gianluigi Pegolo, che ha bocciato la strategia dell’appoggio a un eventuale governo a termine: “Si reggerebbe anche con i voti del centrodestra. Un governo di questo tipo consentirebbe di recuperare il rapporto delle forze di sinistra con l’elettorato di riferimento o, piuttosto, darebbe il colpo di grazia”. Poi: “Come si va a dire che si occuperà solo di legge elettorale? Ci saranno da risolvere, in quel periodo, il nodo delle missioni militari, la trattativa dei salari. Come ci comporteremmo una volta dentro quella maggioranza? Faccio presente che a sostenere questa operazione c’è anche il presidente di Confindustria”. Pegolo propone il voto subito, e da soli. Claudio Grassi di “Essere comunisti” ha lamentato l’assenza di un’autocritica del partito sull’esperienza al governo: “Ricordo che avevamo cominciato la campagna elettorale con lo slogan ‘vuoi vedere che l’Italia cambia davvero?’. Dopo venti mesi, la domanda evidentemente non ha avuto una risposta positiva”.
Atteso l’intervento del dimissionario ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero. Ha concordato su tutto l’intervento di Giordano, ponendo qualche distinguo sulla gestione del processo unitario. Cauto: “L’unità si fa sia dal basso, sui territori, che dall’alto. Temo che facendola solo da un verso non ci riusciamo. C’è un problema di relazione con la nostra gente”. La legge elettorale, insomma, non basta. Ferrero è da mesi indicato, in vista del prossimo congresso, come il candidato dell’identità contro, o almeno in mitigazione, dell’unità. Chissà, ma certo che ora l’agenda è saltata in aria, ed è presumibile che alla prossima assise di Rifondazione non si parlerà solo di come mettere insieme i pezzi della sinistra.