“I deliberati e mortali attacchi condotti contro il nostro paese sono più che atti di terrore. Sono atti di guerra”: questa dichiarazione, fatta dal presidente Bush il 12 settembre alla Casa bianca di fronte ai membri del gabinetto e ai leader del congresso, “prepara il terreno militare, politico e psicologico all’azione militare”, ha scritto The New York Times del 13 settembre.
Contemporaneamente, il Consiglio Nord Atlantico ha dichiarato che “se sarà accertato che questo attacco è stato diretto dall’estero contro gli Stati uniti, dovrà essere considerato come una azione rientrante nell’Articolo 5 del Trattato di Washington, che afferma che un attacco armato contro uno o più Alleati in Europa o Nord America dovrà essere considerato un attacco contro tutti” (Nato Press Release, 12 settembre).
La preparazione psicologica alla guerra.
Siamo dunque sull’orlo della guerra. Ma contro chi? “Contro un nemico differente da quello che abbiamo sempre affrontato, un nemico che si nasconde nell’ombra”, ha dichiarato il presidente Bush. “Questo nemico ha attaccato non solo il nostro popolo, ma tutta la gente amante della pace ovunque nel mondo: la libertà e la democrazia sono sotto attacco”.
La preparazione psicologica alla guerra – che Bush definisce “una colossale lotta del bene contro il male” – è in pieno svolgimento. Essa sfrutta la giusta reazione emotiva, non solo in America ma nel mondo, di fronte alla strage di tanti innocenti, le cui drammatiche immagini sono entrate in diretta nelle case suscitando orrore e commozione. Sotto questa crescente pressione, che rischia di offuscare le menti, è di vitale importanza non perdere l’orientamento. Occorre anzitutto che la condanna dell’attacco terroristico e la solidarietà verso le vittime non si trasformino in un indistinto appoggio ad una nuova guerra degli Stati uniti.
Bisogna distinguere tra la popolazione statunitense, vittima degli attacchi terroristici, e l’amministrazione Bush – che in pochi mesi ha stracciato tutti i trattati internazionali – che cerca di trarne vantaggio per portare a livelli ancora più pericolosi la sua politica. Non si può dimenticare che quel governo, espressione dei potenti interessi delle oligarchie economiche e finanziarie e dell’apparato militare industriale, è il governo che ha condotto, direttamente o indirettamente, le guerre più sanguinose e i non meno sanguinosi colpi di stato degli ultimi decenni, dall’Asia al Medio Oriente, dall’America latina ai Balcani. E’ il governo che persegue il folle progetto di dominio non solo del pianeta terra ma dello spazio, verso cui indirizza le più moderne tecnologie come lo Scudo spaziale, con un’enorme spesa militare che ricade sulla maggioranza dei suoi cittadini, attivando in più una folla rincorsa al riarmo atomico.
Ebbene, questo governo ora si presenta come vittima di un atto di guerra, rendendo esecutivo, per la prima volta nell’oltre mezzo secolo di storia dell’Alleanza atlantica, l’articolo 5 che vincola gli alleati a entrare in guerra a suo fianco. Anche nel caso in cui la matrice “islamica” degli attentati fosse effettivamente accertata – non basta annunciarla – non si può dimenticare che è stato proprio il governo Usa (con l’amministrazione di Bush Senior) a scatenare dieci anni fa quella guerra, mirante al controllo militare dell’area strategica del Golfo, che ha provocato un sisma nel mondo arabo gettando intere popolazioni in situazioni tragiche. Da questo serbatoio di disperazione è facile attingere i volontari per le missioni suicide.
Né si può dimenticare che, nelle sue iniziative di destabilizzazione internazionale, il governo degli Stati uniti hanno utilizzato a più riprese la manovalanza del terrorimo islamico – dall’Afghanistan alla Bosnia.
Berlusconi rilancia lo “scudo”
Non è però questa, secondo Silvio Berlusconi, la questione da risolvere. “La grande questione globale che abbiamo di fronte – ha dichiarato in un’intervista al Foglio del 12 settembre – è come difendersi, come garantire la sicurezza dell’Occidente, che è poi la premessa della pace e del massimo livello realizzabile di giustizia nel mondo intero”. A questo serve lo “scudo”, che l’amministrazione Bush intende realizzare quale “sistema di tutela collettiva contro la proliferazione terroristica di armamenti e altri mezzi e piani di offesa”.
Più realista del re, Berlusconi punta, per “la sicurezza dell’Occidente”, sull’effetto taumaturgico dello “scudo spaziale”, ignorando che la stessa dinamica degli attentati su New York e Washington ne dimostra l’inutilità come strumento di difesa di un territorio. Bush sarà comunque grato a Berlusconi, perché certamente intende sfruttare la reazione emotiva della popolazione americana per rilanciare il progetto dello “scudo”, al quale l’8 settembre la Commissione senatoriale per i servizi armati aveva tagliato i fondi riducendoli di 1,3 miliardi di dollari.
Ma nelle parole di Berlusconi c’è di più: c’è tutta la filosofia di quell’Occidente che agisce come l’apprendista stregone, suscitando le forze che si ritorcono contro lui stesso. Questo Occidente entra in guerra contro un “oscuro nemico” che, in quanto tale, può essere di volta in volta identificato in chi ostacola i suoi interessi e piani di dominio planetario. Che bin Laden, già creatura della Cia e ora ricercato come nemico numero 1 degli Usa, sia o no l’effettivo mandante degli attentati, è secondario. Ciò che conta è mantenere viva e alimentare continuamente l’idea del nemico, necessaria nel dopo guerra fredda a motivare la santa crociata dell’Occidente contro gli infedeli che non accettano il “massimo livello realizzabile di giustizia”, concesso dall’Occidente ai popoli del mondo globalizzato.
Una volta imboccata questa via, si sa da dove si parte ma non dove si finisce. Il concetto stesso di un nemico oscuro, evanescente, diventa il terreno ideale per trame di ogni genere.
Già emergono aspetti oscuri nella dinamica degli attacchi terroristici su New York e Washington. Uno di questi è stato riportato dal New York Times di giovedì: mentre l’aereo presidenziale (Air Force One) era in volo, il servizio segreto ha ricevuto un messaggio, “Air Force One is next” (“Il prossimo obiettivo è l’Air Force One”), inviato non si sa da chi. Il messaggio, “scritto in linguaggio cifrato americano che mostrava una conoscenza delle procedure”, è stato interpretato “chiaramente come una minaccia, non un avvertimento amichevole: ma in tal caso, perché i terroristi l’avrebbero inviato?”, si chiede l’editorialista di The New York Times, che conclude: “La conoscenza del linguaggio cifrato, del luogo dov’era il presidente e il possesso delle procedure segrete indicano che i terroristi possono avere una talpa nella Casa bianca o informatori nel servizio segreto, Fbi, Faa o Cia”.
Il “nemico che si nasconde nell’ombra”, di cui parla Bush nella sua dichiarazione – additato ieri da Colin Powell in Osama bin Laden -, può dunque annidarsi nella stessa Casa bianca. Che farà a questo punto il presidente: ordinerà di bombardarla?