L’occasione francese

Da Parigi ci chiedono come reagisce l’Italia al loro referendum sulla Costituzione europea. Ci tocca dire che i più nemmeno lo prendono in nota, e tutt’al più lo considerano interna bega francese; e questo nonostante le grida allarmate dell’establishment di destra e di centrosinistra che ammonisce sugli esiti catastrofici che avrebbe la vittoria del «no» oltralpe per tutto il continente. Quasi nessuno del resto sa che l’Italia quella legge fondamentale l’ha già approvata, a conclusione di un dibattito parlamentare di cui nessuno si è accorto anche perché nemmeno Rifondazione comunista, che pure ha votato «no», e i movimenti che contro si sono pronunciati, ha fatto qualcosa per mobilitare l’opinione pubblica, né prima – sì da ridurre il danno – né dopo – per far conoscere e denunciare il guaio (poco del resto abbiamo fatto anche noi con il manifesto ). Eppure «la fronda francese si esporta», come titola Le Figaro: vale a dire che i dubbi sul Trattato aumentano un po’ ovunque e il «no» recluta, a sinistra, anche fra le file dei partiti che ufficialmente hanno deciso di accettarlo: in Germania, dove a parte la Pds in parlamento si sono pronunciati contro anche due membri della direzione Spd; in Belgio, dove si è formato, per iniziativa dell’ex presidente della Ces, Debunne, un movimento chiamato «Non de combat»; in Olanda, dove i sondaggi danno il «no» vincente al referendum che si terrà solo due giorni dopo quello francese; nella repubblica Ceka, e in Svezia, dove a chiedere che si tenga sulla questione un referendum non sono più solo, rispettivamente il forte partito comunista (18% alle elezioni europee) e il Partito della Sinistra, ma anche socialdemocratici e sindacalisti.
E poi c’è la Gran Bretagna, dove l’opposizione della sinistra all’Europa è più forte e antica, anche se qui generalmente per via di arcaico antieuropeismo più che in opposizione al testo di questo Trattato. Perché il primo buon risultato della campagna per il no al referendum in corso in Francia è proprio che, finalmente, un dibattito sull’Europa, salvo che in Italia – evidentemente troppo presa dalle vicende nazionali – si è aperto; e con questo un interesse, un coinvolgimento. Dovrebbero esserne contenti innanzitutto gli europeisti; e infatti noi lo siamo.

E non importa che nel «no» si siano mischiate le opposizioni di destra e di sinistra: proprio il dibattito che è emerso ha infatti consentito di dare finalmente visibilità alle posizioni di chi si oppone al Trattato e così fare giustizia dei tentativi di confondere il «no» di chi denuncia il carattere antidemocratico della procedura seguita per vararlo e il contenuto liberista del suo messaggio con il «no» di chi vorrebbe arroccarsi nelle vecchie patrie (confusione cui Toni Negri – fondandosi sulla sua teoria in base alla quale ogni resistenza nazionale, ivi compresa quella palestinese, sarebbe arretrata – contribuisce non poco a creare).

Se anche la sinistra resiste in certi casi a devolvere in settori decisivi per la vita della collettività poteri all’Unione europea, e dunque nel conservare quelli che lo stato nazionale ancora detiene per ridurre l’arbitrio del mercato, è perché a livello comunitario tali poteri non esistono più. E proprio la Costituzione che ci viene imposta rende la supremazia del mercato non solo totale ma anche immodificabile. Difficile confondere, tanto per fare un esempio, la diffidenza scandinava, frutto del timore (fondatissimo) di perdere il proprio superiore welfare con la xenofobia di Le Pen.

Quale catastrofe potrebbe comunque verificarsi se paesi importanti rifiutassero la Costituzione che gli viene proposta? (anche Giuliano Amato domenica, sul Sole 24 ore ha cominciato a dirlo: «edificio europeo in pezzi? No»). Certo, la costruzione europea subirebbe una battuta d’arresto. Ma di questa costruzione, non di un’Europa fondata su altre e più democratiche e profonde basi. In compenso, infatti, si aprirebbe una fase di riflessione e sarebbe possibile promuovere una mobilitazione che potrebbero portarci a un nuovo negoziato, diverso da quello semiclandestino e comunque riservato a una ristretta oligarchia (già questo grida vendetta a dio) che ha portato, dopo anni di oscuri bisticci, all’attuale Trattato.

Per questo non ha grande validità l’argomento di chi dice: nelle attuali condizioni, tenuto conto che nella maggior parte dei paesi europei ci sono governi di destra, il frutto di una rinegoziazione sarebbe peggiore di questo che è il miglior compromesso che abbiamo potuto strappare. Ove a riaprire il cantiere costituzionale europeo si arrivasse dopo il trauma del rifiuto possiamo star certi che ai costituendi non sarebbe più permesso di lavorare indisturbati, sarebbe possibile coinvolgere i cittadini, renderli consapevoli e partecipi. In una prospettiva dinamica i rapporti di forza possono cambiare. E forse l’Europa potrebbe nascere davvero: un’Europa democratica, non una semplice articolazione del mercato globale.