Lo stato di Sharon

Dopo i fuochi d’artificio sparati nella grande messinscena del ritiro unilaterale israeliano da Gaza, il premier Sharon si è presentato sul palco centrale e ha parlato al mondo. Un discorso importante, ma va spiegato in quale senso. Sì, Sharon ha parlato di riconoscere uno Stato palestinese e questo è senza dubbio un passo simbolico importante, per quanto insufficiente. Il ritiro unilaterale da Gaza ha portato molti a dimenticare alcuni dei fattori essenziali del conflitto israelo-palestinese e ora, dalla risonante assemblea dell’Onu, il premier israeliano può continuare a illudere molti di essere (diventato) un uomo di pace, come giura il crociato Bush al tempo stesso in cui sparge sangue in Iraq e Afghanistan.

Così come il ritiro unilaterale da Gaza è importante, ma di un’importanza limitata, lo stesso è con il «riconoscimento» di uno Stato di Palestina. A Gaza i palestinesi respirano una libertà condizionata a causa dell’assedio israeliano. E i palestinesi di Gaza si ritrovano irrimediabilmente separati da quelli della Cisgiordania.

La Palestina come Stato indipendente è qualcosa di più serio delle dichiarazioni di Sharon all’Onu. La Palestina di cui parla Sharon è una pagliacciata, un piccolo insieme di bantustan destinati a formare un’entità debole, frammentata e dominata da Israele. La presenza degli insediamenti israeliani rende impossibile l’unità territoriale palestinese.

Certo che le pressioni internazionali, gli sforzi concertati del pacifismo e l’Europa potrebbero essere d’aiuto per portare a negoziati più seri e forse nel futuro vedremo che Sharon, come de Klerk in Sudafrica, si spingerà più lontano di quel che sembrava all’inizio del processo. Tuttavia in questi giorni di confusione quasi generale e di media ciechi di fronte alla realtà economica, sociale e politica non solo del Medio Oriente, sarebbe bene che l’entusiasmo per la demagogia lasciasse il posto a un’analisi più seria delle parole di uno Sharon che, se ascoltato con attenzione, è lontano dall’essere la promessa che ci promettono Bush e i suoi simili.

Sharon parla di colonie che continueranno a crescere in Cisgiordania, segnala che la costruzione del Muro dell’odio andrà avanti e detta ai palestinesi un’infinità di pre-condizioni per arrivare ai negoziati.

L’unica barriera efficace contro il terrorismo è la pace. Però la pace non può essere quella finzione che facilita soltanto i traffici dell’élite palestinese. Il terrorismo continua. Non solo quello di gruppi palestinesi. Proprio in questi giorni il comando dell’esercito israeliano ha dovuto riconoscere che i cinque palestinesi assassinati dall’esercito a Tulkarem non erano quei pericolosi terroristi che ci avevano detto. E non erano neanche armati.

Gerusalemme unificata ed «eterna» capitale d’Israele? Sì, anch’io e non pochi palestinesi siamo in favore di una Gerusalemme unificata. Come capitale di due Stati, quelli di Israele e di Palestina. Ma intanto va avanti un Muro di tipo kafkiano che rovina le vite e l’economia di decine di migliaia di palestinesi di Gerusalemme. Chi ciancia stupide parole su Gerusalemme unificata e sulla sicurezza venga a vedere i bambini che devono raggiungere la scuola attraverso percorsi impossibili, le famiglie divise, l’economia distrutta, le umiliazioni sofferte di fronte a un Muro che è difficile dire quale mente contorta possa immaginare che tragga sicurezza. Il Muro, giorno dopo giorno, non farà altro che accrescere l’odio.

Non c’è simmetria fra occupanti e occupati. L’Autorità palestinese pur con tutta la sua importanza simbolica è solo una debole finzione e avrà difficoltà enormi a far fronte a negoziati veri con Israele. Non è necessario ricorrere alla Bibbia o a frasi d’effetto. Per arrivare a una vera pace bisognerebbe essere disposti a un ritiro totale dentro le frontiere del `67, bisognerebbe spedire a casa loro tutti i coloni dei territori occupati, bisognerebbe trovare una formula adeguata per i profughi palestinesi e dovrebbe essere imprescindibile non dividere i palestinesi di Gerusalemme con i palestinesi del futuro Stato di Palestina. Gerusalemme come capitale di due Stati, una realtà senza muri né annessioni, senza il controllo assoluto di Israele sulla vita, la politica e l’economia dei palestinesi. Questi sono i punti base per andare a negoziati veri. Quelli che glissano su questo e sulla violenza quotidiana dell’occupazione israeliana, o giocano con le parole o all’autocompiacimento politico senza fondamento nella realtà. Sharon per esempio.