Lo show del soldato Lozano

Dice che ha rispettato tutte le regole di ingaggio, dai segnali luminosi agli spari in aria. E si scioglie in lacrime quando gli viene chiesto a chi ha pensato mentre premeva il grilletto: «alle mie figlie», risponde, «penso a quell’uomo ogni giorno». Torna a parlare Mario Lozano, il militare americano accusato di aver ucciso il 4 marzo del 2005 l’agente del Sismi Nicola Calipari mentre cercava di portare in salvo la giornalista del manifesto Giuliana Sgrena, tenuta in ostaggio per 28 giorni a Baghdad. Dopo l’intervista in esclusiva al New York Post, dopo quella al Time in cui dice di essere stato il primo a soccorrere Sgrena, è la volta di un servizio televisivo, concesso alla Cbs. Un’esposizione mediatica martellante, in vista del processo che si aprirà il 17 aprile a Roma, in cui Lozano è accusato di omicidio volontario e duplice tentato omicidio (contro le altre due persone che viaggiavano sulla vettura, Sgrena e il maggiore Andrea Carpani). E che dimostra la volontà di Lozano e degli Stati uniti – dopo due anni di silenzio – di orientare l’opinione pubblica americana in vista del processo. Un cambio di strategia che dovrebbe trovare conferma nella nomina – a breve – di un avvocato di fiducia per il militare della Guardia nazionale americana, rappresentato finora da un avvocato di ufficio.
Preceduto da una pubblicità che neanche a farlo apposta è ambientata all’ombra del Colosseo, il servizio della Cbs dura tre minuti: si vede il militare che passeggia per le strade di New York, viene ricostruita la vicenda del sequestro e della sparatoria, la giornalista Laura Logan rivolge alcune domande a Lozano in uno studio. La premessa è: il soldato Lozano finora non ha potuto parlare per ordine dell’esercito, la giornalista italiana invece «ha detto al mondo che il soldato americano le ha sparato volontariamente». «La giornalista italiana dice che non sono stati segnali luminosi, non è vero?», chiede Logan. «No non è vero», risponde Lozano. «Quando dice che non ci sono stati spari di avvertimento è vero?» «Non è vero, ci sono stati». «Quando dice che la macchina è stata colpita da 3-400 colpi è vero?» «E’ una bugia, avrei dovuto ricaricare l’arma». Nessun accenno al fatto che quella fu una dichiarazione rilasciata a caldo da Sgrena subito dopo la sparatoria. Lozano aggiunge di avere gli incubi per quello che è accaduto, e che non avrebbe il coraggio di guardare negli occhi la famiglia di Calipari «perché capisco il loro dolore».
Ma il soldato non è l’unico a parlare nell’intervista. C’è anche un altro personaggio, un uomo importante: è Dan O’Shean, l’ex capo dell’«Hostage working group», la struttura creata nel 2004 dal Dipartimento di Stato americano presso l’ambasciata statunitense in Iraq proprio per monitorare i sequestri. Dice che gli italiani hanno voluto tenere all’oscuro gli Stati uniti dell’operazione condotta da Calipari perché hanno pagato un riscatto. E aggiunge: «E’ stato lo stesso Calipari a tenere all’oscuro gli Stati uniti. Purtroppo non deve incolpare nessun altro se non stesso per la sua morte».
Niente di più – tranne l’osservazione finale – di quanto sostenuto dalla relazione americana stilata dopo l’«incidente», ma che comunque riporta la vicenda del processo a Lozano nel bel mezzo della partita sugli ostaggi nei luoghi di guerra e sul pagamento dei riscatti. «Mi sembrano toni esagerati, si sta per aprire un processo, quindi aspettiamo gli sviluppi», osserva il sottosegretario al ministero degli Affari esteri Bobo Craxi «è inutile politicizzare, è un episodio drammatico e tuttavia circoscritto. I giudici sapranno fare il loro lavoro in modo equilibrato». «Le parole di O’Shean sembrano dire che o si avvertono i servizi americani di quello che si fa, oppure si rischia di essere ammazzati», dichiara invece il senatore Miliziade Caprili di Rifondazione e membro del Comitato per il controllo dei servizi segreti (Copaco) «questo è un punto delicatissimo, perché, come già nel caso del sequestro di Abu Omar, sembra che esista una primazia americana anche nei rapporti tra servizi segreti». Secondo Caprili l’annunciata Commissione parlamentare di inchiesta sui sequestri «potrebbe essere una buona occasione per indagare a fondo, e per sapere, finalmente, se esiste qualche tipo di protocollo che lega i nostri servizi a quelli americani. Cosa che, ovviamente, sarebbe illegale».