Lo scoop di Confindustria: «Il lavoro atipico è scomparso»

«A differenza di ciò che comunemente si afferma, il lavoro “atipico” è scomparso». A dare la bella notizia sono proprio gli imprenditori della Confindustria, in un testo licenziato lunedì scorso. Ma ecco, qualche riga dopo, svelato l’arcano: «Il lavoro “atipico” è scomparso perché ogni contratto è tipico, cioè specificamente disciplinato dalla legge e corredato di tutele e garanzie per il lavoratore, in un corretto equilibrio con una maggiore libertà organizzativa dell’impresa». E’ riassunta in queste poche parole, una vera rivoluzione copernicana del lavoro, la posizione che gli industriali porteranno al tavolo sulla «produttività» di gennaio, quello chiesto (ormai ogni giorno) dal presidente Luca Cordero di Montezemolo. La frase è contenuta nel documento elaborato dal «Club dei 15», le associazioni di altrettante città del nord «ad elevata intensità di industrie manifatturiere» (da Varese ad Ancona, da Vicenza a Biella), presieduto da Alberto Bombassei.
D’altra parte, chi può dire che gli industriali non fotografino lo stato attuale del lavoro? Lo stesso ministro Cesare Damiano ribadiva qualche giorno fa che alla fine di quest’anno le nuove assunzioni di tipo precario supereranno quelle stabili (siamo al 54% variamente a termine contro il 46% a tempo indeterminato). Solo che secondo loro la situazione va bene così, e non deve essere modificata. Se da un lato Damiano – ala «riformista» dell’Unione – vuole riportare il lavoro stabile almeno sopra il 51%, e mentre la sinistra «radicale» fa del lavoro e della lotta profonda alla precarietà la possibile bandiera di un partito alternativo a quello dei Democratici, dall’altro lato la Confindustria si prepara a un pressing fortissimo, auspicando che nulla venga toccato del pacchetto Treu e della legge 30. E la filosofia è tutta dettata dal mercato. Un altro assioma del «Club dei 15» recita: «La competitività del sistema economico dovrà sempre più essere agevolata da discipline legislative e contrattuali che favoriscano l’adattamento continuo dell’organizzazione del lavoro e la valorizzazione del capitale umano». Più avanti si specifica che l’«adattamento continuo dell’organizzazione del lavoro» è riferito «alle variazioni produttive, sempre più intense e imprevedibili».
Da questo impianto filosofico si capisce perché vengano difese a spada tratta le riforme del lavoro degli ultimi dieci anni, e la conclusione sta nella richiesta che non venga modificata una virgola: i 15 parlano di «processo innovatore avviato con il Pacchetto Treu (1997), il decreto 368 sui contratti a termine (2001), il 297 sul collocamento (2002), il 66 sugli orari e la legge 30 (2003), la cosiddetta “Biagi”». Norme che hanno prodotto «un processo ormai inevitabile di evoluzione». Appunto, «inevitabile».
Ecco dunque le frecciate lanciate ieri da Montezemolo alla sinistra, accusata di fare da «frenatrice», di essere la «Brembo della politica italiana». Insomma, portatrice di posizioni vetero e residuali, che cercano di frenare disperatamente l’«inevitabile»: la legge del mercato e dell’adattamento alle «variazioni produttive, sempre più intense e imprevedibili» indicate dal «Club».
Dunque l’indicazione alla politica, al tavolo di gennaio: evitare assolutamente – scrivono i 15 – «la riproposizione dei vincoli e delle “ingessature” del passato», anche perché «una revisione normativa potrebbe annullare lo sforzo collettivo prodotto nel tempo da istituzioni, enti amministrativi, parti sociali, singole imprese e sindacati, ingenerando confusione», e producendo «la decadenza di piani di investimento di lungo periodo ormai operativi, squilibri gestionali ed effetti insanabili sul costo del lavoro». Insomma, si minaccia quasi la chiusura delle imprese.
Conclusione: «Si conferma la convinta contrarietà del sistema Confindustria a ogni ipotesi di abrogare, cancellare, superare, cambiare le normative che hanno introdotto alcuni principi di flessibilità organizzativa».