Live8, dissensi azzerati, vince la logica delle major

Oggi a Roma e in altri paesi il grande concerto voluto da Bob Geldof

Ci siamo. Oggi il circo mediatico che alimentato la vigilia del Live 8 arriverà al culmine. Una verifica all’accordatura degli strumenti, una sistemata al trucco e via! In diretta televisiva e radiofonica su una decina di palchi (erano otto ma sono cresciuti) sparsi in varie parti del mondo lo star system internazionale metterà in mostra se stesso e giurerà di essere più buono. Qui da noi si comincia alle 15 al Circo Massimo di Roma dove si è dato appuntamento un pezzo del pop italiano con l’aggiunta dei redivivi Duran Duran, dell’onnipresente Noa e di Faith Hill che si è portata anche il marito Tim Mc Graw.
Dopo le polemiche dei giorni scorsi sembra che tutto sia andato a posto. I recalcitranti sono diventati morbidi come un gelato e chi prima criticava ora fa propaganda. A leggere le ultime notizie d’agenzia la melassa impera. Resta, è vero, qualche cattivone come Vasco Rossi, ma non è detto che alla fine non ceda anche lui. Più che il visibile e contraddittorio messaggio ecumenico di cui è portatore Bob Geldof in questi giorni sono probabilmente state le invisibili e massicce pressioni delle multinazionali discografiche a far rientrare critiche, dubbi e mal di pancia.

La lista degli artisti annunciati, al momento in cui si sta pigiando sui tasti dà per presenti sul palco romano Biagio Antonacci, Articolo 31, Claudio Baglioni, Alex Britti, Cesare Cremonini, Pino Daniele, Duran Duran, Francesco De Gregori, Elisa, Gemelli Diversi, Irene Grandi, Faith Hill, Jovanotti, Le Vibrazioni, Ligabue, Tim Mc Graw, Negramaro, Negrita, Nek, Noa, Orchestra di Piazza Vittorio, Mauro Pagani, Laura Pausini, Piero Pelù, Max Pezzali, Planet Funk, Povia, Francesco Renga, Ron, Tiromancino, Velvet, Antonello Venditti, Renato Zero e Zucchero. Se a ciascun artista si mette addosso la maglia della squadra cui è legato da contratto si scopre che la fetta più grande delle presenze in mondovisione se la sono ritagliata le major. Undici sono gli artisti della Universal, otto a testa ne hanno il gruppo Bmg/Sony e la Warner e solo tre la Emi con la consociata Virgin. Quest’ultima, però, sembra destinata ad avere l’onore di produrre cd e dvd dell’evento e quindi non si lamenta.

Tirando le somme, su trentaquattro artisti presenti trenta fanno capo alle major, anzi trentuno se si considera che Tim Mc Graw incide per la Crub ma è qui praticamente solo perché è il marito di Faith Hill. Fuori dal gruppone ci sono soltanto Povia, Mauro Pagani e l’Orchestra di Piazza Vittorio. In prima fila per la causa dei popoli dell’Africa ci sarebbero quindi, i padroni della musica globale, i produttori di una musica di plastica funzionale alla semplificazione planetaria del mercato, gli stessi che in Africa cercano di imporre Eminem e Will Smith perché costano meno della valorizzazione di artisti nati dalle culture locali e utilizzano la voce degli indiani Navajo come supporto a qualche stucchevole brano dance.

Nonostante il caritatevole buonismo diffuso a piene mani da un’incredibile corazzata mediatica occorre guardare alla sostanza. E la sostanza è che oggi inizia il Live 8, è un grande show musicale in cui i bambini d’Africa vengono utilizzati come testimonial per dare un colpo d’ala al mercato della musica e magari far fronte al calo di popolarità di un pugno di rockstar stagionate. Sotto sotto è quello che dice Damon Albarn dei Blur quando sostiene di essere disposto a prendere in considerazione la possibilità di suonare al Live 8 soltanto se le major «si impegnano a donare alla causa i profitti derivanti dalla successiva e prevedibile impennata nelle vendite degli artisti che si esibiranno in mondovisione».

In realtà, secondo Albarn, che in Africa c’è stato per comporre “Mali Music”, l’iniziativa ha un atteggiamento colonialista che tende a perpetuare l’idea sbagliata del continente africano come un “luogo malato e debole”. Se da noi la melassa ha spento ogni dissenso, nel resto del mondo non è così. Gli artisti africani sono incazzati neri. Il musicista Patrick Augustus ha dichiarato alla Bbc: «sembra che niente possa mai cambiare, che i potenti uomini bianchi abbiano sempre il compito di salvarci», mentre il Black Information Link, uno dei siti più importanti della comunità nera britannica ha definito “orrendamente bianca” l’intera operazione. Imbarazzato dall’accusa di aver tagliato fuori dal grande circo mediatico proprio gli artisti africani, Bob Geldof ha tentato di mettere una pezza promuovendo come una sorta di Live 8 postumo l’Eden Project, un Festival messo in piedi da Peter Gabriel con una nutritissima presenza di musicisti africani che si svolgerà in Cornovaglia il 6 luglio. Gli africani ci sono, dunque, ma si esibiscono cinque giorni dopo in Cornovaglia. “Vezzi colonialisti” li definisce Mick Hume di Spiked Online senza tanti giri di parole. Oggi c’è il Live 8 e domani Bob Geldof andrà al G8 a chiedere la carità. George Mombiot sul Guardian chiama lo stesso Geldof e il suo amico Bono «bardi dei potenti» accusandoli di trasformare «la campagna internazionale del movimento per la giustizia globale in un’impresa filantropica». A ben guardare siamo più o meno dalle parti della critica di Marx al socialismo caritatevole di Proudhon, una ragione in più per applaudire chi non c’è.