Lite nella Cosa rossa. Mussi: il Prc aiuta chi vuole mani libere

ROMA—Si complicano le cose a sinistra, quando mancano tre giorni all’assemblea di sabato e domenica che dovrebbe avviare l’avvicinamento tra Rifondazione, Pdci, Sinistra democratica e Verdi. Diliberto ieri ha sentito lungamente Mussi e Pecoraro Scanio per commentare l’intervista a Repubblica di Fausto Bertinotti e quella frase in particolare: «Voglio riconoscere al Pd il diritto a trovarsi gli alleati che vuole, ma voglio garantire a noi il diritto di tornare all’opposizione». Dalle telefonate sono uscite poi dichiarazioni di stampo comune. Diliberto ha rivendicato al suo Pdci «la vocazione ad essere “partito di governo”», fin dalla sua nascita nel ’98, con la scissione da Rifondazione per continuare a governare con Prodi. «L’unità della sinistra — ha continuato — è il presupposto per pesare di più sulla scena politica». E Mussi: «Può capitare che una grande forza politica debba stare all’opposizione. Ma non esiste grande forza politica che non parta sempre da un’ambizione di governo. Dare per finito il governo e morta l’Unione vuol dire offrire un’occasione d’oro ai teorici delle “mani libere” e ai cultori del bipartitismo». «Ingeneroso — secondo Pecoraro Scanio — parlare di fallimento del governo Prodi. Una cosa è la richiesta di verifica, altra cosa è fare un regalo a Berlusconi…».
I vertici di Rifondazione, naturalmente, si schierano con il presidente della Camera. Danno un’interpretazione meno rigida delle parole di Bertinotti, che ha paragonato Prodi a Cardarelli con le parole di Flaiano: «Il più grande poeta morente», il segretario Giordano e i suoi vedono le affermazioni clamorose di Bertinotti come un richiamo identitario in vista di sabato e domenica, uno stimolo, una sfida al Pd sul piano dell’autonomia, una sorta di «sinistra pride». Giordano ha sentito Mussi e ha illustrato il pensiero di Bertinotti: «Governo e opposizione non sono di per sé valori o disvalori, il problema è legare il governo a ipotesi di trasformazione dell’esistente. Ora, dal governo Prodi mi aspetto il minimo, cose concrete, iniziative sulla precarietà e sui salari», il ministro Ferrero ha parlato di «delusione» rispetto alle aspettative che l’Unione aveva suscitato e il capogruppo al Senato, Russo Spena, di «abbandono del programma». L’ambizione della sinistra, ha aggiunto, è difendere le fasce deboli: «Il governo, per noi, non può essere altro che un mezzo. Mai un fine».
Oggi, di buon mattino, questi umori troveranno sfogo in un vertice, presso il gruppo di Rifondazione alla Camera, dei quattro segretari della sinistra. Riunione già convocata per preparare l’assemblea unitaria, per varare il nuovo contrassegno, per tornare sulla legge elettorale (fonte di divisione), ma nella quale si riesamineranno le parole di Bertinotti.
L’intervista del presidente della Camera ha innervosito anche gli altri settori della maggioranza. Rosy Bindi ha detto che Rifondazione ha due strade: «O questa maggioranza o fuori dal governo». E il ministro Bersani chiede a Bertinotti «se mai troverà un presidente del Consiglio più a sinistra di Prodi». Marina Sereni, vicepresidente dei deputati del Pd, dà però atto a Bertinotti che il «quadro politico è cambiato e che tutti ci stiamo muovendo per andare oltre l’Unione e per avere coalizioni più coese».