L’Italia ha il primato in Europa per le morti sul lavoro che, stando a un rapporto del Censis, sono il doppio rispetto agli omicidi. Ogni giorno nel nostro paese si verificano 2.500 incidenti sul lavoro, muoiono 3 persone e 27 rimangono permanentemente invalide. Dall’inizio del 2009 ad oggi, stando a quanto riporta il sito di “Articolo 21”, ci sono stati 65 morti per lavoro, 65.602 infortuni e 1640 invalidi. Gli ultimi dati Inail ci dicono che complessivamente nel 2007 le vittime sul lavoro sono state 1.210, in calo del 9,8% rispetto al 2006, quando si erano contati 1.341 casi, così come gli infortuni in totale, che nel 2007 sono stati 912.615, circa 15.500 casi in meno rispetto all’anno precedente. Il fatto che le statistiche registrino una lieve diminuzione del fenomeno non deve comunque indurre all’ottimismo. In primo luogo perché comunque si parla sempre di tre morti al giorno. In secondo luogo, come osserva Paola Agnello Modica, segretaria confederale Cgil, perché bisognerebbe inserire nel conteggio anche tutti quegli incidenti sul lavoro mascherati come domestici dagli imprenditori «per fare ricadere le cure sul servizio sanitario nazionale e, soprattutto per evitare l’innalzamento del premio da pagare all’Inail». Una prassi diffusa soprattutto nelle piccole aziende. «Il 91,7% degli infortuni mortali – ricorda ancora Agnello Modica – avviene in aziende con meno di 15 dipendenti. Nelle stesse aziende si registra l’89% degli infortuni gravi». Inoltre, l’Organizzazione internazionale per il lavoro stima che in Europa per ogni morte a causa di infortunio ce ne sono altre quattro per malattie di origine professionale.
Se il numero totale degli incidenti sul lavoro scende nel 2007, aumenta invece quello dei lavoratori stranieri infortunati. In sintesi, il documento Inail riferisce di 140mila denunce di infortunio di migranti, 174 delle quali mortali con un aumento del numero di vittime dell’8,7%. «Gli stranieri pur di lavorare – spiegano i ricercatori dell’Inail – accettano mansioni più rischiose caratterizzate da attività manuali e ripetitive e da turni di lavoro più lunghi che spesso si accompagnano a stanchezza e formazione professionale carente». Anche i precari, in quanto soggetti contrattualmente deboli, sono più esposti al rischio di infortuni. Non a caso le uniche due categorie con il segno più, rileva l’Inail, sono quelle degli interinali e dei parasubordinati, impiegati per la gran parte in lavori manuali nell’industria manifatturiera (+13,6% e +5,6%).
Una quota consistente di infortuni si concentra in attività di tipo industriale; il settore maggiormente rischioso si conferma quello delle costruzioni con oltre 20mila denunce l’anno e 39 morti, il 30% delle 144 morti di lavoratori edili.