L’Italia gestisce il peso di un fallimento

Sull’uscio della commissione esteri della Camera, il ministro Massimo D’Alema ha preannunciato una missione «a luci ed ombre» per se stesso presso l’Onu. E così è stato. Mentre il voto sulla moratoria sulla pena di morte è stato un netto successo per lui, per l’Italia e per l’Europa, la discussione sullo status finale del Kosovo si sta rivelando un vero e proprio letto di spine. La politica, quando dichiara di avere davanti a se solo la scelta tra un male e un altro, non può che prendere atto di avere, se non fallito, almeno mancato un’occasione. Oggi l’Unione Europea si trova nella necessità di subire scelte altrui per quanto riguarda il futuro della provincia serba del Kosovo. E mestamente se ne prende atto. Lo testimonia la (scarsa) discussione in Parlamento. Il 29 novembre l’aula della Camera ha votato due mozioni sullo status del Kosovo, della maggioranza e della Lega Nord, e le ha approvate tutt’e due. Gli impegni erano: ricerca d’una soluzione condivisa, «scoraggiando iniziative unilaterali», unità europea e la sollecitazione «in tempi brevi dell’accordo di stabilizzazione e associazione Ue-Serbia». Un premio di consolazione che lascia i responsabili politici di Belgrado piuttosto freddi. Anche perché non ritengono, probabilmente a ragione, quest’esito né sufficiente né imminente. Mentre l’amputazione di un pezzo di quello che continuano a considerare il proprio territorio lo è.
Siamo all’«ineluttabiltà». Emersa anche dalla lettera alla presidenza portoghese Ue, cofirmata dai governi italiano, inglese, francese e tedesco che dava conto del fallimento dei negoziati, avvertendo che è meglio lasciar perdere, per evitare «un ulteriore irrigidimento». Siamo ben lontani da quell’impegno a cercare in tutti modi un accordo condiviso, anche dopo il limite annunciato. Si profila, invece, una indipendenza sotto «supervisione» della Nato e di una massiccia missione civile europea. In quale quadro di diritto non è dato sapere, e su questo c’è scontro al Consiglio di Sicurezza. Il sottosegretario Craxi, non sembrava troppo convinto quando ha detto che la futura missione Ue «potrebbe operare nella cornice giuridica» della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1244 – che autorizzò l’ingresso della Nato, ma confermando anche che il Kosovo fa parte del territorio sovrano della Serbia e l’Ue aspira à mandare un suo rappresentante in Kosovo in sostituzione di quello dell’Onu. E se la Russia non è d’accordo?
L’unica certezza è la prospettiva dell’instabilità, ben oltre il Kosovo. Otto anni sono passati invano. In un incontro in Parlamento l’ex-ministro francese Hubert de Védrine ha ribadito che l’indipendenza sarà pure «ìneluetable» ma è pur sempre «regrettable» e per un ambasciatore europeo che ha partecipato al negoziato la la separazione del Kosovo potrebbe fare venire meno la ragione d’essere della Bosnia. Paese costituito, dentro la camicia di forza degli accordi di Dayton, per imporre una nazione multietnica E la Macedonia?
Commentando il passaggio delicato, D’Alema ha fatto notare che mentre gli Stati Uniti hanno fortemente sostenuto l’indipendenza del Kosovo e la Russia l’ha osteggiata, l’Europa è destinata a reggere tutto il peso del problema. Auguri.

*Vicepresidente della Commissione esteri della Camera