L’Italia e la Ue parlino chiaro

Sono ormai una trentina i ministri e deputati del governo democraticamente e legittimamente eletto dai palestinesi sequestrati e rinchiusi in carcere dalle forze di sicurezza israeliane, ultimo in ordine di tempo il presidente del Parlamento Abdel Aziz Dwaik, spedito in ospedale dalle percosse dei suoi carcerieri. La volontà da parte di Israele di azzerare il governo palestinese si traduce in una serie di atti che è corretto definire forme di rappresaglia e punizione collettiva ai danni di una popolazione civile e quindi violazioni sistematiche dell’Articolo 33 della quarta Convenzione di Ginevra. Violazioni impunite, tollerate dalla comunità internazionale anche quando le vittime sono civili innocenti, come gli uomini che a Ghaziyeh, in Libano, hanno alzato inutilmente i corpi dei loro morti come tante bandiere bianche per dimostrare ai bombardieri israeliani che stavano colpendo un funerale e sono i 37 bambini uccisi a Qana, 15 dei quali disabili e quindi impossibilitati a fuggire verso nord. Nell’apatia generale, Israele riproduce su vasta scala in Libano le operazioni militari da tempo in atto nella «palestra» di Gaza e rade al suolo infrastrutture, centrali elettriche, villaggi interi in nome della lotta al terrorismo. Su entrambi i fronti, le testimonianze parlano di uso di gas, bombe a frammentazione e altre armi, certamente illegali in base a qualsiasi convenzione internazionale, che trasformano le vittime in resti difficilmente riconducibili a un corpo umano.
Ambiente distrutto, target civili
Anche in Libano, come nei territori palestinesi occupati, l’ambiente naturale subisce le peggiori devastazioni, gli alberi vengono strappati dalla terra e il mare è inquinato dalle tonnellate di greggio originariamente destinato alle centrali. Come nel 1982, gli aerei da guerra israeliani bombardano gli ospedali libanesi anche se sui tetti sono ben visibili le croci rosse, come nel 2002 a Jenin e oggi a Gaza, vengono colpiti convogli umanitari, ambulanze e osservatori dell’Onu. Israele ripropone un copione scritto nel 1948 e ripetuto negli anni ad ogni accenno di guerra, lanciando dall’alto insieme alle bombe migliaia di volantini che esortano i civili libanesi ad abbandonare le proprie case.
In questo scenario, la comunità internazionale non è in grado di dire due parole, il Consiglio di sicurezza dell’Onu dopo un mese guerra non riesce nemmeno a riunirsi, la gente non trova la forza di indignarsi e se la trova, non sa esprimere la propria indignazione in una forma politica che abbia una qualche incisività. La formulazione di un’eventuale risoluzione del Consiglio di sicurezza che sia avallata da Israele e Stati Uniti punta a due obiettivi. Il primo, in base alle parole del Segretario di stato Condoleezza Rice, è aprire la strada alla nascita di un «nuovo» o «grande» Medio Oriente e in quest’ottica l’attuale guerra andrebbe considerata come l’inevitabile «travaglio» che precede ogni parto. Il secondo riguarda la comunità internazionale, l’Onu e in particolare l’Europa, che possono pensare o sperare di guadagnarsi un ruolo esclusivamente a sostegno di questo progetto. Fino a oggi non si è riusciti nemmeno a chiedere il cessate il fuoco e il messaggio che si ricava da questa impasse, unito all’esperienza di Iraq e Afghanistan, ci dimostra la vera natura di questo progetto di nuovo Medio Oriente. L’unica verità è che esiste una sola forma di diritto, il diritto del più forte, e chi non ha forza non può rivendicare alcun diritto, nemmeno il diritto naturale alla vita, a meno che non si tratti di un certo tipo di vita, già programmato e pensato da altri. In questo contesto è facile capire come il mondo ritenga concepibile che il presidente del Parlamento palestinese, una delle cariche più alte dello stato, oltre ad essere rapito venga anche umiliato e picchiato perché ha osato protestare o indignarsi. Viene tolto a miliardi di uomini persino il diritto alla parola, il diritto a pensare e immaginare il proprio futuro se non nel contesto organizzato e programmato da altri, dove la semplice appartenza a una religione diventa sinonimo di terrorismo e dove la semplice appartenza a una storia, a un popolo come quello palestinese, e la rivendicazione dei diritti più elementari diventano addirittura sinonimi di antisemitismo. I popoli del Medio Oriente, dopo anni di sconfitte, frustrazioni e oppressione da parte dei propri regimi (cosiddetti moderati) hanno raccolto il messaggio diffuso mattina e sera da Stati Uniti e Israele con le aviazioni, i carri armati e una smisurata superiorità militare. Il messaggio dice che per poter rivendicare qualche diritto bisogna avere la forza e bisogna usarla.
La fine di Arafat
Tutti quelli che non condividono questa tendenza e continuano a credere in una soluzione politica perdono ogni giorno credibilità e autorevolezza. La fine tragica del presidente Arafat è la dimostrazione di ciò che è riservato a chi tenta ancora di usare un ragionamento articolato e un esempio non incoraggiante per chi è rimasto fedele a questa idea. Purtroppo questa è una guerra che non può essere persa da nessuno dei contendenti. Per Israele, il fallimento della campagna militare a cui abbiamo assistito fino a oggi in Libano, unito alla sconfitta americana in Iraq, fa definitivamente tramontare l’idea del «nuovo Medio Oriente». Hezbollah, punta avanzata dietro a cui sono Iran e Siria, rappresenta insieme al suo leader e ad Hamas un elemento di coesione per le masse non solo arabe ma anche islamiche, come suggerisce la scelta simbolica di Mecca come sede del futuro vertice dei paesi arabi. In uno scenario inedito che Israele e Usa sottovalutano e di cui l’Europa sembra ignorare il significato, Hezbollah oggi esprime una volontà diffusa, in Medio Oriente e non solo, e un suo fallimento ora significherebbe il fallimento di tutti e per tutti il ritorno del dominio americano e israeliano sul destino, le risorse, la cultura e la storia dei popoli dell’area.
L’Europa, persino quella parte dell’Europa che ha da sempre espresso la cultura del diritto e della legalità, per inerzia e per impotenza dimostra di non aver capito la vera portata di questo conflitto e continua a tentennare senza nemmeno esprimere una parola di condanna per i crimini di guerra di Israele. Non fa eccezione il nostro governo di centrosinistra che malgrado tutto continua a trattare Israele come un soggetto al di sopra del diritto e della legalità. Questo atteggiamento equivale a un’autorinuncia da parte dell’Europa a svolgere un ruolo, come è emerso dalla conferenza di Roma, fortunatamente compromessa dall’arroganza e dalla rozzezza di Israele e Stati Uniti, che in caso di successo avrebbe solo contribuito a portare altra acqua al mulino israeliano.
Frenata l’ipotesi di accordo elaborata da Francia e Stati Uniti, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è ora alla paralisi dopo la conferenza dei paesi arabi a Beirut, in cui si è sostenuto il piano libanese e il mondo arabo ha ritrovato un minimo di unità, anche grazie all’arroganza del governo israeliano che allarga la sua campagna militare in Libano e nei territori palestinesi occupati. L’Europa perderà il diritto alla parola se non parlerà chiaramente adesso, perché oggi occorre fare tutto ciò che non è stato fatto in Palestina a partire dal 1948, per impedire che la strategia del «fatto compiuto» lasci di nuovo incancrenire il problema. Ciò che occorre è imporre a Israele il cessate il fuoco e il ritiro entro le linee precedenti al 12 luglio oltre a convocare una conferenza internazionale sul Medio Oriente per ottenere l’applicazione rigorosa di tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza che riguardano Israele, Siria, Libano e Palestina. Porsi un obiettivo più modesto sarà come fare un buco nell’acqua.

*deputato del Prc