L’Italia deve decidere

Il ritiro dell’Italia dall’Iraq non sarà sul tavolo del consiglio dei ministri di oggi, ma entro il 30 giugno sarà presentato dalla Farnesina « il provvedimento di rifinanziamento delle missioni all’estero, con allegata «una spiegazione dettagliata di che cosa si deve finanziare». parola di Massimo D’Alema.
Una dichiarazione un po’ secca per tacitare i mormorii che dentro l’Unione ritengono esclusiva di ogni confronto l’analisi e gestione delle missioni da parte del ministero degli Esteri. Nel merito, se alcuni dubbi permangono sulla stessa definizione del «ritiro dall’Iraq», la questione più spinosa la pone oggi la situazione in Afghanistan. Nell’ala sinistra dell’Unione molti segnalano piuttosto il nesso Iraq-Afghanistan rintracciabile in un doppio movimento: «discontinuità» a Baghdad in cambio di continuità a Kabul. E ieri il capogruppo di Rifondazione alla camera Gennaro Migliore ha preannunciato iniziative del suo partito nel governo e in parlamento per «una ridiscussione di tutte le missioni»: sull’Afghanistan si richiede «una discontinuità, dal precedente governo, come sull’Iraq».
D’Alema non si sottrae: ammette che l’Afghanistan «è un tema che deve essere oggetto di una riflessione politica», anche per far sì che «il processo di pacificazione abbia più successo di quanto avvenuto fino a oggi». Ma si concentra soprattutto sulla «differenza» dell’Afghanistan: «Noi lì operiamo nel quadro di decisioni assunte dall’Onu, di un impegno della Nato e di un comune impegno europeo» – mentre in Iraq tutto partì dalla decisione unilaterale Usa. Ieri anche Berlino non ha potuto non preoccuparsi della situazione in Afghanistan, pur concludendo al momento che l’impegno tedesco resta «sensato». Ci sono anche là voci dissonanti: il sindacato dei militari tedeschi denuncia l’assenza di «piani precisi» della forza internazionale, e la spartizione del territorio tra i diversi paesi che intervengono – e resta, naturalmente, il supremo comando Usa.
Ora il governo italiano deve per lo meno impegnarsi a rispondere su quale è il senso oggi della missione in Afghnistan, dove è oramai mutata la «natura» dell’intervento Nato e europeo. Ne va di una riflessione a fondo, a meno che non si pensi di poter intervenire, da parte delle potenze occidentali – con legami di volta in volta non chiari con altri paesi attirati nell’impresa – sotto la parola d’ordine di «pacificare» il mondo.