In Italia il numero delle imprese attive nell’industria, nel commercio e nei servizi è notoriamente mostruoso. Nel 2004 l’Istat ne ha contate poco meno di 4,3 milioni, praticamente quasi una per ogni cinque occupati. Si tratta di imprese ovviamente molto piccole, con una media di quattro addetti fra cui vanno compresi anche il titolare e gli eventuali soci. Solo una decina di migliaia superano i cento addetti, e sono circa 2.500 quelle con almeno 250 addetti: la metà degli addetti lavora in imprese con meno di dieci addetti.
Anche a causa di questa polverizzazione, se invece di contare le imprese si contano gli stabilimenti produttivi (le cosiddette unità locali, ovvero i luoghi fisici di produzione: fabbriche, uffici, e via dicendo) il numero è solo leggermente più grande, e non supera i 4,7 milioni. Di fatto, gran parte delle imprese italiane opera con un’unica sede, mentre solo le imprese di maggiori dimensioni operano su più sedi sparse per il territorio nazionale.
Il quadro attuale della localizzazione delle imprese italiane è stato fornito ieri dall’Istat, che ha presentato i dati del nuovo archivio statistico delle unità locali, con il quale aggiornerà con cadenza annuale le informazioni sulla presenza territoriale delle imprese che fino ad ora erano pubblicamente disponibili solo ogni cinque anni, in occasione dei censimenti. Ne emerge la solita Italia spaccata in almeno tre parti. Ai due estremi ci sono l’Emilia Romagna e la Calabria. Nella prima, ci sono quasi 40 occupati nelle unità locali situate nella regione per ogni 100 residenti, e di questi 17 lavorano nei settori dell’industria. In Calabria, all’opposto, il numero degli occupati non supera complessivamente le 15 unità ogni 100 residenti, e di questi meno di cinque lavorano nell’industria.
Fra le regioni del sud, la Sicilia presenta una situazione molto simile a quella calabrese, mentre le altre regioni si collocano in una posizione appena migliore (intorno ai 20 addetti per cento residenti). In una posizione di mezzo nella geografia produttiva del paese, con una media vicino ai 30 occupati, si collocano l’Abruzzo, l’Umbria, la Liguria e il Lazio, quest’ultimo con la più forte incidenza dell’occupazione assorbita dai servizi. Umbria e Abruzzo, viceversa, manifestano una caratterizzazione più industriale del tessuto produttivo regionale. Fra le regioni con la più elevata incidenza di addetti si collocano anche la Toscana e le Marche. Quest’ultima regione è, insieme al Veneto e all’Emilia, quella dove è maggiore l’incidenza dell’occupazione industriale, la quale sfiora il 18% della popolazione residente. Le tendenze in atto non sembrano peraltro in grado di colmare questi divari. Nel 2004, per esempio, solo il 16.8% degli addetti dell’industria era occupato in unità locali situate nelle regioni del meridione, mentre tre anni prima – in occasione del censimento del 2001 – questa quota era solo appena più bassa (16.4%).
Il nuovo archivio dell’Istat alimenterà senz’altro le analisi territoriali, soprattutto con riferimento al ruolo dei distretti industriali, disperatamente tirato spesso in ballo per trovare qualcosa di buono nel sistema delle piccole imprese italiane. Del resto, le informazioni statistiche sulle imprese sono decisamente aumentate negli ultimi anni, sia di fonte Istat sia di altre fonti amministrative come le quelle delle Camere di commercio, e le diagnosi cominciano a convergere, per esempio ribadite alla presentazione dell’ultimo rapporto di Mediobanca: piccole, poco inclini all’investimento, e per questo afflitte da un problema che non hanno, quello del costo del lavoro.