Un paese dove il 20% più ricco della popolazione raccoglie più del 40% del totale dei redditi e dove, all’opposto, al 20% più povero non spetta che una misera fetta pari al 7%, è un paese senz’altro diseguale. E’ un paese dove, per esempio, una famiglia su sei arriva a fine mese con difficoltà, più di una su quattro non riesce a fare fronte a spese impreviste, una su dieci è in arretrato con le bollette o non riesce a garantirsi un adeguato riscaldamento della casa dove abita, più di una su dieci non ha avuto i soldi per pagarsi le spese mediche e quasi una su cinque non è riuscita a pagarsi i vestiti. Disuguaglianze e miserie: quel paese è l’Italia e stiamo leggendo alcuni dei dati sul reddito e sulle condizioni economiche delle famiglie diffusi ieri dall’Istat e riferiti agli anni 2004 e 2005. Si tratta di una nuova indagine campionaria (22 mila famiglie e 56 mila individui), armonizzata a livello comunitario, che servirà per lo studio della povertà, dell’esclusione sociale e degli effetti sulle famiglie delle politiche economiche e sociali. In breve, è uno degli strumenti con cui si dovrebbe sorvegliare il perseguimento degli obiettivi di Lisbona: vi ricordate? L’Europa fortezza della competitività economica e del benessere sociale.
L’Italia da quegli obiettivi è parecchio lontana, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più «sociali» (ammesso che abbia un senso distinguerli da quelli economici).
La disuguaglianza distributiva è diffusa su tutto lo stivale anche se, come aveva già fatto notare l’Istat nell’ultimo rapporto annuale, è particolarmente pesante nelle regioni del sud. La Campania, la Sicilia, la Calabria, lo stesso Lazio sono le regioni dove maggiore è il divario di reddito fra chi ha tanto e chi poco, mentre Trentino, Toscana e Friuli sono quelle relativamente più egualitarie. Se nel sud la disuguaglianza è uniforme e sta dappertutto, nel nord ci sono regioni, come la Lombardia, il Piemonte e la Liguria, dove la disuguaglianza distributiva assume valori vicinissimi a quelli del meridione.
A livello nazionale, metà delle famiglie italiane vive con meno di 22 mila euro (il dato è riferito al 2004). Questa soglia mediana è parecchio più bassa della media dei redditi, che è pari a 28 mila euro: questo divario è il segno di una forte asimmetria distributiva e, cioè del fatto che ci sono pochi fortunati che guadagnano cifre elevatissime (che alzano la media) e molti sfigati che campano con poco. La soglia mediana di 22 mila euro è un po’ più elevata dove il reddito principale è da lavoro dipendente e autonomo (28 mila euro) rispetto ai redditi da pensione (16 mila euro), oppure considerando le diverse tipologie familiari, ma la dimensione territoriale dello squilibrio sociale resta ovviamente una delle chiavi di lettura obbligate dei dati dell’Istat. Se nel mezzogiorno metà delle famiglie vive con meno di 18 mila euro all’anno, nel centro e nel nord questa soglia sale a 24 mila euro: a dividere la Lombardia dalla Calabria, ossia rispettivamente la regione più ricca e quella più povera, c’è una differenza di quasi 10 mila euro sul reddito mediani. Praticamente sono due economie diverse. Il divario nord-sud diventa poi enorme se si considerano i nuclei familiari più numerosi, specie se con figli: se ci sono almeno tre componenti il reddito medio familiare è ad esempio di 27 mila euro nel meridione, oltre 14 mila euro in meno rispetto a quanto avviene nel settentrione.
Se si considerano invece le famiglie che vivono al di sotto della soglia di reddito che identifica il 20% più povero e calcolata a livello nazionale, troviamo come questa soglia incida in maniera molto diversa a livello territoriale e di tipologia familiare. Si trovano al di sotto di essa quasi la metà delle famiglie siciliane, il 38% di quelle calabresi, il 15% di quelle laziali e solo il 10% di quelle lombarde. Vi troviamo inoltre un terzo delle famiglie con un solo percettore, un quarto degli anziani soli, un terzo delle famiglie con almeno due minori. Viceversa, oltre la soglia che identifica il 20% più ricco si incontra un quarto della popolazione del centro-nord, un terzo delle famiglie che vivono sul lavoro autonomo e un terzo delle coppie non anziane e senza figli, più della metà delle famiglie dove il principale percettore di reddito è un laureato.
Le altre misure del disagio diffuse ieri dall’Istat sono riferite al 2005 e mostrano una incidenza degli indicatori che nel meridione assume valori doppi rispetto al resto del paese. La difficoltà arrivare a fine mese incide infatti su un quarto di quelle del meridione, colpendo in particolare le famiglie più numerose e le persone sole. Oltre il 40% delle famiglie del sud dichiara poi di non riuscire inoltre a fare fronte agli imprevisti, con incidenze che diventano assai elevate specie fra gli anziani. La dura lotta contro le bollette che scadono riguarda ad esempio più di un quinto delle famiglie meridionali e meno di una su venti fra quelle del nord. Cifre analoghe si registrano sulla impossibilità di pagarsi le spese mediche o su quella di comprarsi gli indumenti che si ritiene siano necessari per vivere dignitosamente.