Non c’era alcuna arma chimica nell’abitazione perquisita lo scorso venerdì alla periferia sud-est di Londra. O almeno, dopo una settimana di sequestro dell’abitazione, due arresti ed il ferimento di un sospetto, Scotland Yard non ha ancora alcuna prova, nemmeno una, nei confronti dei due fratelli fermati; islamici ortodossi di sicuro, ma non per questo anche terroristi. Così va, con gli Anti Terrorism Acts, che consentono poteri straordinari, tra i quali fermi di ben sette giorni senza la formulazione di alcuna accusa (prorogabili a ben 14 con la firma di un magistrato) e la famigerata «licenza di uccidere», che è costata la vita al giovane elettricista brasiliano Jean Charles de Menezes, scambiato «erroneamente» per un terrorista, lo scorso luglio. La politica inglese si trincera dietro il suo caratteristico «fair play» e Blair esprime al «101%» sostegno all’operato degli agenti di polizia, assecondato senza troppe resistenze da Liberal democratici e Conservatori. In questa tempesta di silenzi, l’unica voce fuori dal coro appare come non mai assordante; è quella di George Galloway parlamentare scozzese di Respect, una formazione di sinistra radicale, unico vero «fuori programma» nella House of Commons inglese.
Mr. Galloway, a circa un anno di distanza dagli attentati del 7 luglio, il confronto tra mondo islamico e governo inglese appare teso come mai prima d’ora. Cosa sta accadendo?
Semplicemente che i riflessi «in casa» di un conflitto all’estero, alla fine si sono fatti sentire. Insieme alle altre organizzazioni contro la guerra abbiamo sempre denunciato che la criminalizzazione dell’islam da parte dello stato dei media e delle forze dell’ordine avrebbe prima o poi tramutato i musulmani in nemici da combattere. In breve tempo ci siamo ritrovati con ben 2 milioni di cittadini britannici emarginati e «sorvegliati speciali»: solo nell’ultimo anno il numero di fermi, perquisizioni ed arresti di uomini asiatici è salito del 700%.
Una percentuale inquietante, ma si può parlare di “strategia”?
In parte si può. Per molti agenti la percezione dell’Inghilterra in guerra è sinonimo di «guerra contro l’islam». Quindi i cittadini musulmani sono visti come un potenziale pericolo per la democrazia.
Eppure, a parte Respect, neppure dall’ala “sinistra” del Labour si levano voci di dissenso…
Il Labour in 15 anni è cambiato molto e la sua stessa sinistra interna si è notevolmente ridotta, mentre è aumentato il numero di coloro che lottano esclusivamente per difendere il proprio seggio in parlamento. Il rapporto con l’islam è un problema particolarmente articolato e complesso e buona parte del parlamento cerca, per questo, di ignorarlo. Ieri nel corso del question time alla Camera dei Comuni, ho ripetuto, solo io, che o questi problemi si affrontano nella loro complessità o le cose peggioreranno a vista d’occhio. Ciò che diciamo ai giovani musulmani è di non essere affatto moderati, ma di mostrare rabbia. Ne hanno tutto il diritto, ma l’unico modo effettivo di esserlo è in politica.
C’è molto fermento nella sinistra radicale europea a partire, ad esempio dal progetto della Sinistra Europea di cui Respect è parte, anche se come osservatore. Può contribuire la pressione di movimenti sovranazionali del genere a sbloccare una situazione come quella inglese?
Certamente. La dimostrazione è che Berlusconi ed Aznar sono stati cacciati ed i prossimi saranno Blair, e speriamo al più presto anche Bush. Ovviamente ciò non significherà, almeno per l’Inghilterra, un ritiro immediato delle truppe. Il Regno unito è una potenza imperialista e da queste parti ci vuole molto poco a raccogliere consenso per poter proseguire un’avventura neo-coloniale come quella in Iraq. Tuttavia mi ha colpito anche la resistenza del governo italiano, decisamente più «a sinistra», al ritiro dei soldati: l’immagine del vostro ministro degli esteri D’Alema che si abbraccia e scherza con un criminale come il ministro degli esteri del governo «fantoccio» iracheno è a dir poco sconcertante.