L’Iran abbandona il dollaro e si affida all’euro

Con effetto immediato, il governo iraniano ha deciso di sostituire – in tutte le transazioni e scambi commerciali – il dollaro con l’euromoneta. Ovvero, secondo quanto dichiarato dal portavoce di Terhan, Gholamhossein Elham, «1e risorse straniere e i redditi derivanti dall’export di petrolio saranno calcolati in euro e saranno incassati in euro per porre fine alla dipendenza col dollaro». Le già difficili relazioni tra il governo di George W.Bush e quello del presidente Mahmoud Ahmadineiad rischiando di inasprirsi ulteriomente. Soprattutto, perché altri paesi dell’Opec (il cartello dei produttori di petrolio) – di cui l’Iran è parte – potrebbero adottare questa misura in un futuro prossimo.
Ci avrebbe già pensato il leader venezuelano Hugo Chavez (principale fornitore di greggio degli Stati uniti); come pure questa decisione potrebbe essere presa da altri paesi ora che è più probabile che il dollaro si deprezzi, perchè di fatto la svalutazione del biglietto verde sta danneggiando le entrate da vendita di greggio di tutti i paesi produttori. Tanto più che nell’ultimo incontro di Vienna dell’Opec, il rappresentante iraniano si è dimostrato più volte ostile a qualsiasi proposta di aumentare il tetto produttivo.
Il «fronte» finora compatto – intorno al dollaro – si sta sgretolando: Cuba, tempo fa, ha annunciato la sua intenzione di potere utilizzare l’euro per attività turistico/commerciali. La repubblica cinese – detentrice insieme al Giappone della maggior quota di tresaury bonds – ha più volte manifestato la volontà di convertire, in euro o in sterline, gran parte delle sue riserve bancarie, attualmente pari alla cifra astronomica di mille miliardi di dollari. Il biglietto verde non aiuta e, in particolare, non convince, considerando che il suo deprezzamento potrà fare crescere l’export ma farà salire prima di tutto l’import ed aggraverà il «buco» della bilancia corrente.
Il dato fornito ieri dal Dipartimento al commercio americano ha rivelato che nel terzo trimestre il deficit è pari a 225,6 miliardi di dollari. Più alto del deficit corrente registrato nel secondo trimestre; comunque un gap sempre elevato e stimato (il dato del pil è ancora provvisorio) al 6,8% del prodotto interno lordo. Più ampio del 6,6% del pil ottenuto nel secondo trimestre e, comunque, vicino al record del 7,0% del pil stabilito alla fine del quarto trimestre del 2005.
L’amministrazione Bush non vuole sostenere il dollaro e il deficit cresce di anno in anno. L’ultima previsione, relativa all’anno in corso, segnala che le importazioni per beni (intendendo con questo sia il petrolio che altri prodotti) sarà di 480,7 miliardi di dollari. Molto di più dei 463,4 miliardi raggiunti l’anno scorso e sempre più dovuti ai maggiori impegni legati all’import di prodotti energetici.
La «fuga» dell’Iran dal dollaro non potrà nemmeno essere bloccata e – nonostante gli Usa potranno trarre profitto dalla diminuizione del prezzo del greggio in questo ultimo periodo dell’anno – si è ormai aperta una questione non solo di natura congiunturale. Il dollaro ha perso la sua centralità e grandi interessi si stanno concentrando nel mondo asiatico e non solo. Ieri, il dollaro ha avuto un lieve recupero – euro a 1,3095 dollari Usa e 154,34 yen giapponesi. Ma il presidente della Bce (Banca centrale europea), Jean-Claude Trichet ha ripetuto lo stesso che «con l’euro si sono creati più benessere e più posti di lavoro…che con il dollaro».