L’ira di Rifondazione: così non si va avanti

ROMA — Al telefono ormai quasi non si parlano più. E pure quando il Professore, come è successo ieri, tenta di circoscrivere l’incendio finisce che le sue parole suonano come un’ingerenza che fa infuriare ancor più Rifondazione. Ormai, siamo quasi al fatto personale. Franco Giordano non fa sconti, e fra le tante obiezione politiche c’è, nelle sue parole alla Camera, appunto anche la stilettata diretta, “presidente non si occupi di Rifondazione e della sua unità, su questo tema ha già avuto modo di sbagliarsi in passato…”. Non provate a spaccarci. Leggi 1998, quando il partito di Bertinotti mandò a casa il primo dei governi di Romano Prodi. Lo stesso presidente della Camera – dopo aver mediato a lungo e “consigliato” a Ferrero l’astensione in consiglio dei ministri e non il voto contrario sul welfare — si è sentito “tradito” dalla scelta del premier di porre la fiducia sul vecchio testo. Stanchi e irritati, anche, quelli del Prc, per le battute di Dini e dei centristi certi di aver vinto la mano e messo all’angolo gli “estremisti”. Preoccupati, infine, di non sguarnire troppo il fianco sinistro, dove qualcuno comincia a vagheggiare la nascita di una Cosa ultrarossa. Dunque, via il guanto di velluto, ecco il pugno di ferro. Discorso durissimo perciò del segretario. «Come da Franco non avevo più sentito — si compiace Ramon Mantovani, a capo della fronda interna nella maggioranza del Prc — ma quando i comportamenti sono deboli devi per forza alzare la voce». Con lui, almeno un terzo del gruppo parlamentare del partito avrebbe preferito infatti staccare la spina subito. Votano invece per disciplina la fiducia, tranne il trotzkista Cannavò, che anticipa in questo modo l’uscita dal partito ormai data per scontata. Stamattina tocca al gruppo a Palazzo Madama, riunito per affrontare l’altro’passaggio ad altissimo rischio, il voto sul decreto sicurezza. «Previsioni? Difficile farne — anticipa Milziade Caprili, vicepresidente del Senato — ma certo così è molto complicato per tutti noi andare avanti». Rifondazione sulla corda. Nei gruppi parlamentari e nella base. «Anch’io, che pure passo per uno morbido nei confronti di Prodi — racconta Francesco Forgione, presidente della commissione Antimafia — in giro per l’Italia, dai magistrati alla gente comune, dai professori agli studenti, raccolgo solo lamentele e insoddisfazioni: ma che fine ha fatto la promessa di una svolta sociale?». Per cui, Professore attento, «sulla verifica facciamo sul serio». Il rischio di una scissione?
Giordano esclude decisamente. Ma il fantasma di una “Cosa rossissima”, un variegato cartello a sinistra di Prc e soci, che punta ad “impadronirsi” della falce e martello che nel nuovo simbolo non ci sarà, prende corpo. Dopo l’addio di Cannavo e Turigliatto, nel conto potrebbe esserci anche quello di Pegolo e Giannini (il gruppo dell’Ernesto), e in dissenso restano anche Burgio e Grassi (Essere comunisti). Così come l’indipendente Francesco Caruso e Paolo Cacciari, il fratello del sindaco di Venezia. Un pattuglione che, in qualche modo, potrebbe anche intercettare la fronda di sinistra che freme dentro il Pdci, guidata dall’euro-deputato Marco Rizzo, che al governo Prodi staccherebbe volentieri la corrente. Però anche nella maggioranza bertinottiana, e in vista del congresso, la battaglia sul governo ha scatenato grandi manovre. Ramon Mantovani, fra i deputati più vicini al presidente della Camera, è il punto dei riferimento dei duri e potrebbe passare all’opposizione all’interno del partito,raccogliendo il gruppo della Fiom che fa capo a Giorgio Cremaschi e l’area degli autoconvocati che domenica scorsa si sono dati appuntamento a Firenze per contestare appunto la linea soft.
E la Cosa rossa soffre anche a destra. All’ala dei sindacalisti, guidati dal segretario Paolo Nerozzi che ha lasciato i ds per approdare nella Sinistra democratica di Mussi e Salvi, la linea contro la Cgil sul welfare non è piaciuta neanche un po’. Così, se il capogruppo Titti Di Salvo ieri in aula si schiera con il Prc sulla verifica, Nerozzi prende le distanze: agli stati generali della Cosa rossa, l’8 dicembre a Roma, lui non ci sarà. Sinistra democratica corre troppo dietro le suggestioni anti-Prodi e anti-Cgil di Rifondazione.