L’iperrealtà dell’apocalisse

«Cronache marxziane» di Giulietto Chiesa. Il potere dei media nel manipolare l’opinione pubblica, il simulacro della democrazia imposto con le armi, le avvisaglie di una possibile «guerra calda» tra Usa e Cina. Uno sguardo «estremista» sul mondo dopo l’89. Il volume sarà presentato domani a Roma (ore 18, Sala Capranichetta)

Non so cosa avrebbe scritto sulla sinistra italiana realmente esistente Giulietto Chiesa se avesse fatto in tempo, prima dell’uscita del suo ultimo libro Cronache marxziane ( Fazi editore, pp. 270, € 13,50), ad ascoltare le parole di D’Alema sull’esportazione della democrazia sulle baionette. Già così, pur privato dell’ultima esternazione del presidente diessino, ce n’è comunque abbastanza per la pallida opposizione italiana al berlusconismo, in politica estera anch’essa atlantica, che è poi la forma che assume in Italia il bipartisan. Giulietto Chiesa, lo sappiamo dai suoi libri (e dai suoi interventi ) è un estremista. E però nel senso positivo del termine: per attaccare fatti, protagonisti e simboli ricorre a esagerazioni estreme ma per questa via finisce per dare un’immagine del reale assai più reale di quella che offrono i prudenti. Certo che dire «l’America è un paese dove è stata operata una lobotizzazione di massa» è espressione forte, ma come non cogliere il senso di una verità che occorre pur denudare, e cioè che l’esercizio del diritto democratico al voto ha finito per diventare una «cerimonia senza contenuto» perché « è stato azzerato tutto il percorso che conduce alle urne» e che il rito, nei paesi dove si è preteso di esportare la liturgia della democrazia, è un puro simulacro? Perché non esistono, o esistono sempre meno, le condizioni di una libera informazione e dunque di un libero giudizio.

La requisitoria più dura Chiesa la riserva naturalmente – perché questa è la sua sacrosanta ossessione – alla sottovalutazione del ruolo dei media da parte delle sinistre, che tutt’al più prendono in considerazione i tg, che rappresentano una parte infinitesimale delle trasmissioni, senza rendersi conto che quanto forma le teste della gente è la velenosa cultura complessiva che la televisione trasmette. Certo non contrastata dalla costante comparsa dei leaders dell’opposizione nel teatrino dell’«insetto», che li usa e riduce a comparse dello show di regime. Come si può pensare che la televisione diventerebbe migliore se si procedesse ad ulteriori privatizzazioni? Il pluralismo – dice giustamente Chiesa – non è garantito dall’esistenza di una pluralità di padroni tutti uguali e resi ancor più uguali dalla loro dipendenza totale dalla monocultura pubblicitaria, cui sono inevitabilmente asserviti se è vero che la comunicazione, essendo privata, è merce, è commercio.

Il nuovo libro di Giulietto Chiesa ha tuttavia un’ambizione più ampia: quella di narrare la cronaca del terzo millennio, quanto, tenuto conto di quello che già accade, è destinato ad accadere nei prossimi decenni. A cominciare dai primi quattro anni, consacrati – scrive – alla «gestione della prossima guerra fredda». Che già prepara quella «calda». E qui egli descrive, con l’appoggio di fatti e dati precisi, gli scenari possibili, anzi quasi certi: non solo le guerre portate nei paesi «canaglia», ma lo scontro gigantesco fra Stati uniti e Cina, già in corsa per accaparrarsi il massimo delle risorse scarse e in via di esaurimento. «Non c’è posto per due americhe su questo pianeta. Né democratiche, né autoritarie. Una si chiama Cina ed è molto più grande dell’altra, più grande dell’intero Occidente. Ed affamata».

E in mezzo c’è la Russia, cui Washington sta portando via sotto il naso, una a una, le sue regioni cuscinetto, l’Asia centrale, dove in ben quattro ex repubbliche sovietiche esistono oramai basi americane; e ora anche quelle occidentali, grazie alle insidiose sovversioni dall’esterno che hanno già reso possibile – sotto forma di ambigue rivoluzioni democratiche – la conquista dell’Ucraina, e ora insidiano la Bielorussia, dove certo non brilla la democrazia, ma c’è da dubitare che brillerà quando il regime sarà sostituito da una nuova classe dirigente corrotta dalle prebende occidentali, le tangenti o i più sofisticati grant concessi nelle università americane agli intellettuali.

Non c’è dubbio che – nonostante l’interesse per il quadro generale che Chiesa dipinge, e le apocalittiche sue previsioni ( che però sono purtroppo molto realiste ) – le pagine più belle del suo libro sono quelle in cui egli torna a descrivere l’ex Unione sovietica. Un riferimento ricorrente, che rende particolarmente gustosa la polemica, perché è di lì che egli attinge ogni volta l’esempio, l’anneddoto, la rivelazione. Nel descrivere quei paesi e quei personaggi – Eltsin e Putin in particolare – dà davvero il meglio di sé. E’ sul modo in cui sono stati giudicati questi personaggi, sul come sono stati aiutati a distruggere un paese che forse con Gorbaciov ce l’avrebbe fatta a uscire, senza precipitare nella catastrofe, dal regime sovietico, che l’indignazione diventa appassionata. Soprattutto su come quelle vicende sono state descritte dai giornali. Compresa «l’Unità» (di cui Giulietto è stato in anni passati corrispondente proprio da Mosca) che, con suo orrore, è arrivata a pubblicare a puntate la biografia di Boris Eltsin, un testo di cui tutta la Russia rideva. Sull’«Unità», quotidiano fondato da Antonio Gramsci, inveisce, con un accorata nostalgia del vecchio e tanto migliore Pci.

Due disaccordi che voglio annotare in questo libro da leggere (nonostante la un po’ fastidiosa ed artificiale forma dell’intervista da parte di un giornalista antipatizzante): la sottovalutazione del ruolo dell’India, che a me sembra stia invece, economicamente e politicamente entrando in scena; il favore per una forza militare autonoma europea, a garanzia di un possibile ruolo indipendente che l’Unione potrebbe giocare. A parte ogni altra considerazione sull’uso delle armi, credo sia bene tenere a mente che per attrezzarsi a competere con gli Stati uniti su questo terreno nel migliore dei casi ci vorrebbero all’Europa dei secoli. E’ sul piano politico che esistono invece, e immediati, enormi margini di autonomia ove l’Europa volesse usarli anche senza dover temere uno sbarco dei marines sul nostro continente.